lunedì, gennaio 27

"If I forget you, fire not gonna come from me tongue."

27 Gennaio 2516,
Bullfinch (Amarillo).
Interno giorno.


"… Jeez, you're killing me."

"Perché non stai fermo."

"Sto, fermo."

"Tu non stai mai fermo, lil’ one."

Piegato in due sul tavolo del salotto, Marshall affonda il muso ispido fra gli avambracci e mastica un "whatever" svogliato, inghiottendo dalle narici un respiro fondo e odoroso di legno mentre si sforza di far tendere all’immobilità i muscoli dorsali, martoriati dal bruciore che la punta metallica gli scava contro la pelle. Mitchell, una mano spalmata al centro della sua schiena nuda e l’ago chirurgico, imbevuto d’inchiostro, serrato delicatamente fra le dita spesse, è curvo in avanti e smorza il respiro in fiati costretti entro le manovre precise del polso. Non è la prima volta che lo fa, ma l’ansia di sbagliare gli mangia i nervi e pialla sulla bocca un mezzo ghigno concentrato.

"Ma non hai ancora finito?" – è incredibile come, anche immobile, Marshall riesca a scalpitare come un puledro nervoso.

"Fuck. – Mitchell gli schiocca il palmo largo e calloso contro la pelle. – … Vuoi starti fermo?"

"Fuck you …"

"… Hush, ho quasi fatto."

Scortica la carne compatta del fratello lentamente, con la cautela tesa che l’altro mette nel maneggiare le interiora altrui, ma senza la stessa disinvoltura. Una goccia di sudore, sfuggita all’attaccatura dei capelli biondicci, gli rotola languidamente lungo il naso, spingendo fra i lineamenti levigati una contrazione di fastidio ispido. Sorride, dal fondo limpido degli occhi chiari, per ognuna delle vibrazioni sotterranee che si rincorrono sotto la pelle tirata ed erosa di Marshall, sgranando le vertebre e scuotendone le scapole tese come le ali di una farfalla d’ossa. Mordendosi l’interno di una guancia, a concentrazione solida e arpionata sotto i denti, Mitchell traccia la curva ripida di una 'o', inghiottendo un grumo ferrigno di saliva e sangue prima di chiudere l’ultimo tratto della 'w' e piantare il palmo aperto contro la nuca piegata dell’altro.

"Here you are, fuckface." – gli preme dentro ai muscoli uno spintone brutale, raddrizzando le spalle indolenzite e trascinando a ritroso una falcata malferma, di pigrizia impaziente, per ingoiarsi l’anteprima sanguinolenta del proprio capolavoro.

Alla base della schiena scoperta di Marshall, costretto a sinistra della colonna vertebrale, un tatuaggio rudimentale gli marchia nella carne la calligrafia esitante del fratello maggiore.

O me dear land, if I forget you,
lemme right hand forget what it's supposed to do.