giovedì, maggio 29

Everything flows.

29 Maggio 2516,
Safeport (Almost Home).
Interno notte.


Hope Red Lee non sa se sia notte o giorno quando si sveglia nel buio della cabina, in preda a un disorientamento fondo e improvviso che, alla sua età, fa in fretta a scivolare nella paura. Il pannello di lamiera graffiata sopra la branda di suo padre, che è ancora invischiata del suo odore e intorno a Hope si allarga come un campo d’atterraggio, gli si squaglia dentro gli occhi assediati dalle lacrime mentre aggrappa dieci dita minuscole alle pieghe del lenzuolo e scoppia in un pianto disperato. Passa una quantità di tempo incalcolabile, contratto e dilatato dalla mancanza di punti di riferimento, prima che il caschetto biondo e sfatto di sua madre si affacci sopra di lui. Moloko è piena del pessimo rum del Crook Saloon e ha negli occhi verdi un panico vivace che li rende lucenti come gemme. Si aggrappa al corpo minuto e morbido di suo figlio per sradicarlo dal materasso e stringerselo al petto, coprendogli i capelli biondi e sfilacciati di baci ardenti, alcolici, cullandolo seduta a gambe incrociate sul pavimento. A un bambino di un anno basta poco per piangere e altrettanto poco gli basta per calmarsi. Mentre nella bocca di Hope si asciugano gli ultimi lamenti dubbiosi, trascinati per inerzia senza memoria della vera causa di tanta mortificazione, Moloko preme le labbra contro il suo orecchio e gli semina con affanno un segreto nel cuore.

"La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla."


[…]
[Appeso sopra la branda della cabina c’è un foglio silenzioso, è Cortès entrata in punta di piedi senza prenderti a sprangate per cercarti l’anima di forza.]



Piangi anche tu a modo tuo, prendendo a pugni una nave che non puoi strapparti dal petto perché è la strada che hai scelto Mashall Lee, a ogni costo, contro tutti.

Non puoi indurirti nel silenzio, la roccia è fragile si spacca.

Col tempo viene massacrata e si frantuma come polvere.

Noi siamo come l'acqua. L'acqua si trascina via tutto e fa sempre un casino della Madonna, riesce a scavare nel ventre della terra anche quando pensi che sia solo un torrente da quattro soldi.

L'acqua non la puoi spezzare e non la puoi annientare perché cambierà sempre forma quando meno te lo aspetti.

Asciugati le lacrime di sangue che tieni incrostate sulle nocche e cammina a testa alta.

Tu non hai amici, non hai torti da scontare né buchi da ricucire.

Sei solo acqua, e quando capita di distruggere qualcosa, di abbracciare cadaveri che annegano, senza poterli salvare, non lo fai perché è giusto o sbagliato, lo fai perché è la tua cazzo di natura.

E' solo la tua cazzo di natura.

Nessuno ci sopravvive, siamo soldati dobbiamo camminare ancora e ancora. La notte non è mai eterna.



Moloko Cortès.



[Poco più sotto scritta in maniera meno incerta, in uno spazio angusto, una poesia scarabocchiata di traverso]


Avvizziscono i petali

che mi sono rimasti addosso

dall’ultimo turbine

di primavera.

Avvizziti e ormai avvezzi

al magone

dei mesi stanchi.

Scoppiano loro le vene

e cadono così dissanguati,

senza aver avuto la decenza

di ricucirsi

per arrivare ordinatissimi

ai tuoi palmi.

martedì, maggio 27

Roads.

28 Maggio 2516,
Polaris (Just Bad Luck).
Interno notte.


Marshall schianta le nocche contro la lamiera e ingoia la fitta penetrante che gli sboccia dentro la carne lacerata, compressa fra l’acciaio e l’osso. A ciascuna esplosione liberatoria dei muscoli corrisponde un lampo rosso di dolore acuto, ficcato a fondo nel cervello, e un fremito delle labbra tirate contro le guance ispide.

"Caralho, sei venuto in casa mia e neanche sei passato a salutare."

La voce di Cristobal la riconoscerebbe nel cuore affollato del Cruzero; gli frusta i nervi come lo schiocco di un nerbo di cuoio ed inchioda a metà strada la corsa del pugno destro incontro alla parete. Marshall ci sbatte il palmo aperto, invece, scaricando il peso delle spalle curve lungo il braccio teso e rovesciando la testa verso il pavimento.

"Bones, Cristosantissimo- …"

"Non scomodare i santi, Lee, non ne vale la pena."

La faccia tatuata del ‘Leaefer è un teschio sorridente. A torso nudo, dondola sui talloni degli anfibi neri che gl’ingoiano i polpacci e le pieghe lasche del pantalone mimetico. Appeso al collo ha un teschio d’uccello e, per qualche ragione, un fiore di papavero appoggiato dietro l’orecchio destro.

"Vedo che non hai perso l’abitudine di prendere a pugni i muri."

Sembra indifferente all’intensità ostile dello sguardo col quale Marshall, rivoltato con le scapole inchiodate al muro, lo passa da parte a parte. Gli angoli della bocca di Lee scivolano verso l’alto lentamente; la nascita del suo sorriso ripido è come quella di una catena montuosa.

"Tu quella di passarci attraverso."

Cristobal allarga le braccia e poi le lascia cadere, stringendosi nelle spalle asciutte. Sfrega i polpastrelli di una mano a mezz’aria e, come in un gioco di prestigio, fa comparire fra le dita una sigaretta accesa già fumata per metà.

"Sei tu che mi hai chiamato qui, pendejo."

Marshall scuote le spalle larghe contro il metallo, spingendo le dita indolenzite nella tasca dei jeans per cavarne fuori il pacchetto di Maracaros. Abbassa lo sguardo sulle tre cicche rimaste con una smorfia nauseata, piegando il mento per sfilarne fuori una direttamente con i denti.

"Massé? – ci biascica sopra, scettico quanto il singhiozzo labile delle sopracciglia brune, – Sentiamo, perché dovrei volerti fra i coglioni."

"Per avere qualcuno che ti dica che hai fatto la cosa giusta."

Lee manda giù un mattone di saliva e sfugge agli occhi verdi di Oxossi per frugare la cabina in cerca di un accendino. Trova una manciata di fiammiferi sfusi sparpagliati sul comodino e ne arraffa uno mentre, scostatosi dalla parete con una torsione energica dei fianchi, misura nervosamente i sei metri per sei del pavimento. Accende la sigaretta soffocando sul filtro una smorfia nervosa.

"Perché proprio tu."

Cristobal si lascia cadere sul bordo della branda, stropicciando un sorriso dolciastro.

"Perché io non posso dirtelo."

Marshall sente la nausea tornare a montargli dentro come una marea nera mentre cede al richiamo degli occhi di Cristobal, deglutendo fumo e saliva con un fremito teso dei muscoli dorsali. Si strappa la cicca di bocca con due dita e brucia la falcata che lo separa dall’allucinazione come volesse investirla, ma fermandosi al contatto fra le proprie gambe e le sue ginocchia piegate sull’orlo del letto. Allunga il palmo aperto contro la testa rasata di Oxossi e aggrappa cinque dita dietro la sua nuca, perdendo la presa quando scivola a sedere sui calcagni e rovescia il viso dentro le mani che il ‘Leafer gli porge per raccoglierlo, ingoiandosi l’odore quasi dimenticato della sua pelle e il languore umido che gli squaglia dentro il costato.

"El aire del invierno
hace tu azul pedazos,
y troncha tus florestas
el lamentar callado
de alguna fuente fría.
"

Prima che il mormorio liquido di Cristobal riesca a farlo piangere una scrollata involontaria delle spalle lo riscuote bruscamente. Ha una mano aperta contro la parete e lo sguardo fisso sulla traccia sanguigna che le proprie nocche hanno lasciato sul metallo.

"Shit."

Elian è da qualche parte sul Brigade, diverse paratie più in là, ma è la sua faccia che immagina mentre torna a sfondarsi le dita sull’acciaio. Il pannello è freddo sulla fronte madida quando ce la preme contro, appannandolo col flusso torrido del proprio respiro. Non la scolla neanche mentre cerca le sigarette e scarta fuori una Black Mamba (le Maracaros le ha finite già da un pezzo). Mastica la nicotina a occhi chiusi, in faccia alla parete, piegandosi a sedere sui talloni.

"Hai fatto la cosa giusta."

Raddrizza la nuca e solleva le palpebre per arroventarsi lo sguardo con la brace che consuma la cicca sintetica, schiacciata fra i polpastrelli callosi del medio e del pollice. Se la spegne lentamente al centro del palmo sinistro, ingoiando il bruciore con un’impennata svelta del mantra stretto fra le chiostre dei denti.

"Hai fatto la cosa giusta, hai fatto la cosa giusta hai fatto la cosa giusta haifattolacosagiusta hai, fatto la cosa, giusta hai- … Fuck."

Lascia cadere il mozzicone a terra con un ghigno aspro, tirandosi in piedi per rimediare un'altra sigaretta da incastrarsi in bocca.



 


 How can it feel, this wrong?
From this moment, how can it feel this wrong?
 

sabato, maggio 24

The blind spot.

27 Aprile 2505,
Bullfinch (Timisoara).
Interno notte.


L’angolo cieco è buio. È cieco perché non vuoi guardarci. È uno spicchio di te che ti sfugge e non puoi controllare. L’angolo in cui sei solo e indifeso in balia di te stesso. È l’angolo in cui non vuoi entrare.






giovedì, maggio 15

Una ragazza.

14 Maggio 2516.






Provo a dormire su un letto che è fatto di chiodi,
perché sei venuta a cercarmi?
Potevi lasciarmi tranquillo alla mia dolce vita.
Io ci credevo
così forte che
ho ancora il sorriso
stampato sul viso—

quella ragazza non è normale, / quella ragazza non è come me, / quella ragazza non è normale, / ma è normale che io abbia
solo bisogno di.

domenica, maggio 11

Detention.

6 Maggio 2516,
Hall Point (zona detentiva).
Interno notte.


"Sveglia Lee, brutto cazzone, dormi da morto."

Jordan cerca di svegliarlo, ma Marshall non dorme. Si muove solo troppo silenziosamente perché lei lo senta rivoltarsi e misurare la propria gabbia a passi lunghi ed irrequieti come un animale. Non le risponde mai. Assapora ogni ora di solitudine con la consapevolezza che Jordan Fox stia soffrendo, di là dalla parete di lamiera, la stessa noia che inchioda i suoi muscoli sotto la pelle e gli inonda col grigio lucente del metallo ogni angolo del cervello. E più lei si affanna per attirarne l’attenzione, più Marshall la ignora e si trincera nel silenzio ripetendo mentalmente poesie e canzoni imparate a memoria, il nome e la dislocazione di ogni osso del corpo umano; contando i minuti che lo allontanano inesorabilmente dall’ultima assunzione di Nootropam prima che la sicurezza di Hall Point gliene confiscasse il flacone.


8 Maggio 2516.
Interno notte.

A svegliarlo è il ticchettio lento, regolare, della goccia d’acqua che scivola da una fessura tra le placche del soffitto. Strizzando le palpebre attraverso l’illuminazione fioca e costante dell’area detentiva, trova la pozzanghera sporca stretta nell’angolo fra le pareti. Trascina il peso sul gomito sano per strisciare una mano callosa contro lo sterno livido e ricacciare indietro un conato di nausea. Si tira in piedi nervosamente, con la testa che ronza e lo stomaco a fior di labbra, raccogliendo il secchio posato accanto alla branda e già pieno di vomito per svuotarlo nel cesso chimico incassato sul fondo della cella. Ci si accoscia davanti, respira lentamente. Rigurgita un’altra leccata di bile acida prima di tornare fino al letto. Si addormenta a fatica con il gocciolio insistente a martellargli nel cranio.


10 Maggio 2516. 
Interno giorno.

Seduto sul bordo della branda, svolge lentamente la fasciatura con cui il medico dello skyplex gli ha assicurato l’articolazione lussata del gomito e trova, sotto la garza, il livore tumefatto e maleodorante della cancrena. Da qualche parte, una porzione razionale del proprio cervello gli suggerisce che il decadimento che gli sta mangiando la pelle debba avere a che fare con il nootropam, ma la maniera in cui il tessuto marcio reagisce all’ispezione dei cinque sensi è troppo reale, e la necrosi non rientra fra i sintomi di un’astinenza da farmaci. Nemmeno fra gli strascichi di una lussazione. Marshall è sicuro che saprebbe capire se è il suo corpo che sta imputridendo, o solo la sua lucidità, se solo il soffitto smettesse di gocciolare giorno e notte, con quel ticchettio insistente che lo sta facendo impazzire. Ma le provocazioni di Jordan Fox attraverso il muro sono una tentazione a cui non cede, piallando le scapole e la nuca contro il metallo per chiudere gli occhi e respirare il silenzio.


11 Maggio 2516.
Interno giorno.

Il secondino di Hall Point che viene a scarcerarlo è un tipo segaligno, silenzioso più della securer che l’ha scortato in infermeria. Marshall ha la voce atrofizzata in gola dal silenzio prolungato e lingue di necrosi arrampicate dal gomito alla spalla. Si alza e fa per imboccare nervosamente l’uscita, ma si ferma a un paio di passi dal corridoio, con la sensazione fastidiosa che il pavimento di metallo gli si stia allungando sotto ai piedi.

"Dovreste fare qualcosa per quella perdita."

Rivolta sulla bocca un ghigno ammezzato, crudo quanto il disorientamento dell’uomo che lo aspetta fuori dalla cella. Marshall torce le spalle e la nuca spessa, additando la pozza d’acqua e ruggine che la fessura tra le lamiere del soffitto ha innaffiato pazientemente per giorni. Il secondino allunga il collo e setaccia con lo sguardo le pareti spoglie. Poi si raddrizza, a sopracciglia contratte e spalle irrigidite, allungando a Lee un cenno asciutto della testa.

"Non c’è nessuna perdita, jackass. Muovi il culo."

Marshall si volta, cercando la chiazza di ruggine che ha eroso tre quarti della cella. La goccia è diventata una piccola cascata e l’acqua gronda oltre la porta, lambendo gli scarponi da lavoro del ‘Buller che deglutisce piano, trascinando una falcata svelta a ritroso per incamminarsi alle calcagna dell’addetto alla sicurezza.

Passando davanti alla cella di Jordan ne incassa gli insulti con un’alzata di spalle e gli angoli della bocca appesi all’ombra degli zigomi aspri.

giovedì, maggio 1

Keep pushing the elephant up the stairs.

1 Maggio 2516,
Safeport / Bullfinch.
Interno notte.


"So you killed the baby."

La voce all’altro capo di Polaris suona asciutta, dura come le nocche di un pugno stretto con vigore, ma impermeabile allo shock.

"Non era un bambino, Nì, mi stai ascoltando?"
"È uscito dalla pancia di sua madre, no?"
"Puoi scommetterci. Se la stava mangiando dall’interno come un cazzo di parassita, non era- … non era umano."

Nina Lee sta in silenzio per qualche secondo, in piedi davanti al tavolo del salotto, lisciando le venature del legno inciso a filo di coltello con il pollice mentre si tiene il cortex vicino alle labbra, con l’altra mano, per non dover alzare troppo la voce.

"… Cos’era allora."
"Non lo so, devo aprirlo per scoprirlo."
"Then go."
"Non- … Jeez, non so se ce la faccio."

C’è qualcosa, nell’angoscia che anima la voce di Marshall, che le stringe lo stomaco e i polmoni come se qualcuno la stesse strattonando dall’interno. Scrolla piano la testa bionda, anche se il fratello non può vederla.

"Certo che ce la fai, se hai potuto ammazzarlo puoi aprirlo. E se non era una creatura di Dio, come dici, non devi neanche sentirti in colpa per avergli spaccato la testa."
"..."
"Man up, Chino."
"Yeah, thanks."

Marshall chiude la comunicazione e lascia rotolare il pad sullo scrittoio di metallo, trascinando cinque dita spesse e ormai lavate dal sangue fra i capelli sfatti e ancora umidi. Ingoia un respiro profondo attraverso il naso adunco, spezzato da più di una frattura calcificata, torcendo il collo per spazzare la cabina con un’occhiata che la sagoma minuscola di Hope, fra le coperte della branda di Moloko, cattura su di sé come un magnete. Scrolla le spalle nervosamente, per scacciare il conato di nausea che gli ha stretto lo stomaco, e stringe in bocca una bestemmia mentre imbocca la porta.

Mezza galassia più in là Nina chiude gli occhi e, per la prima volta dopo anni, prega Dio che le braccia di suo fratello restino pulite.