lunedì, dicembre 15

We don’t need to be forgiven.

28 Maggio --,
Bullfinch (Acres Green).
Esterno giorno.


"… So watcha think, sweez?"

Hope Red Lee è biondo come la luce, ha le spalle larghe di suo padre e muscoli vivaci da adolescente. Con una mano aperta contro il muro bianco di calce del silo, il braccio teso è l’unica misura della distanza fra il suo viso abbronzato e quello, più scuro, della figlia del fattore incastrata fra il proprio corpo e la parete.

"Se mio padre sa che sono andata al lago con un ragazzo …" – il rossore le tinge le guance anche attraverso l’incarnato mulatto.

Billie Cotton gli piace perché è una brava ragazza dagli occhi ingenui, profondi e blu come il pelo dello Spring Lake.
Hope scrolla la testa, scostando la frangia pallida e disordinata per rivoltare sulle guance un sorriso da canaglia e due fossette dolci.

"C’mon, Bee, è un 'se' molto grosso."

Bracca la ragazza, un paio d’anni meno dei suoi sedici, come un animale che stringe la preda nell’angolo prima di saltarle al collo, ma con una limpidezza spensierata da debosciato a renderlo tutt’altro che minaccioso. Solleva la mano libera, e la bottiglia stretta fra le dita snelle, per ingoiare un sorso disinvolto di liquore prima di allungarla incontro alle labbra carnose e indecise di Billie.
Ignora il tumulto degli zoccoli sullo sterrato finché il fischio acuto della ragazza a cavallo lo colpisce come una scudisciata.

"Hope!, è un’ora sana che ti cerco."

Justice ha appena superato la ventina, è sottile come la lama di un coltello e cavalca all’amazzone con le gambe sepolte fra i fiori giganti e colorati di una gonna lunga fino agli stivali. Tra le scapole aguzze le dondola, come la coda di un serpente, una lunga treccia di sole. Gli occhi slavati e luminosi oscillano con indifferenza quieta fra il profilo di Hope, girato a sbirciarla di tre quarti, e lo stupore imbarazzato di Billie Cotton.
Non sorride, ma non sembra davvero spazientita.

"Hai finito di saccheggiare di straforo la riserva di rum di zia Cortès? – oscilla vagamente con la testa da una parte, come per decifrare l’etichetta della bottiglia sospesa a mezz'aria; – … Se ti scopre Chino ti rivolta la faccia, e siamo in ritardo."

In ritardo.
Hope sgrana gli occhi e s’irrigidisce con un fremito allertato di muscoli, premendo il palmo aperto contro il muro per darsi la spinta e strattonare indietro le spalle. Barcolla a ritroso un paio di passi, stropicciando addosso a Billie un’occhiata impenitente e una smorfia di scuse imbarazzata.

"Poi ne ... riparliamo."

La congeda senza fare caso al disorientamento un po’ irritato, reso maldestro dalla vergogna, con cui la ragazza batte in ritirata verso la veranda della casa coloniale.
Si torce su se stesso per fronteggiare la cugina dal basso.

"Punto primo, non siamo in ritardo. – sancisce, scollando l’indice dal collo della bottiglia; – … Tuo padre e zia Suze vengono da Chattanooga, it’s a fuckin’ long way to New Dallas."

"Infatti si sono mossi per arrivare ieri, scemo."

Justice si stringe nelle spalle, saldamente in bilico sulla sella di Mohawe. Il buckskin scalpita a tratti, annoiato, battendo gli zoccoli sullo sterrato con qualche nitrito nervoso, ma senza mai cercare di disarcionarla.
Hope preme le sopracciglia all’attaccatura del naso, interdetto.

"Dodò?"

"Bloccata su un cargo in avaria fra Albany e Pound."

"Che cazzo ci sarebbe, poi, su Pound?"

Justice sbuffa un filo d’ilarità attraverso il naso, srotolando fra le labbra un sorrisino astuto.

"Guess it’s what she’s gonna find out."

Hope si incupisce vagamente, spostando l’ingombro della bottiglia mezza piena fra una mano e l’altra prima di spingere cinque dita in mezzo ai fili di fosforo che ha per capelli.

"Parti con lei quest’altr’anno?"

Dondola sui talloni, sbirciando sua cugina dal basso con aria corrucciata, sentendosi un groviglio d’impotenza annodato nello stomaco quando la vede scrollare le spalle minute con tre quarti di un sorriso indulgente arrampicati in faccia.

"Nessuno troverà mai Shangri-La se nessuno la cerca."

Red conosce la storia perché Justice gliene parla da quando è nato.
C’è una leggenda metropolitana che suo padre ha sentito da Lee Chernenko; sostiene che una settantina d’anni prima un’azienda di tecno-genetica iniziò il progetto di un parco a tema abitato da animali dell’immaginario collettivo portati alla vita dalle tecnologie di ricombinazione genica. La compagnia comprò e terraformò una luna, da qualche parte, e quando fallì le coordinate andarono disperse e nessuno andò a riprendersi gli animali. Secondo la leggenda dovrebbe trovarsi in qualche porzione di spazio tra il sistema Central e Dào. Tra il nono e il decimo quadrante.
Hope appende le labbra alla bottiglia e, stavolta, il sorso di rum che gli brucia l’esofago riesce anche a fargli girare la testa.

"Mommy’n’dad, fuck’s sake. – cerca la smorfia dubbiosa di Justice con occhi scintillanti d’ispirazione luminosa; – Think ’bout it, Jay-Lee, Moloko non è mai stata puntuale in tutta la sua vita, e Marshall non è entrato in chiesa nemmeno per sposarsi."

Allarga le braccia come un pugile vittorioso, spiando il guizzo di comprensione che prende forma lentamente sul viso tutto spigoli e dolcezza della figlia di Mitchell, che scuote la testa con un sospiro.

"Jeez, zia Nina gli spacca il naso un’altra volta se quello stronzo si perde il battesimo di suo figlio."

Justice contempla l’ipotesi con una risata leggera, curvando la schiena sottile per sporgersi verso il cugino con le braccia incrociate sul collo del cavallo.

"Allora? – il singhiozzo sfottente delle sopracciglia chiare corona la dolcezza accomodante del sorriso; – … Sali o no?"

Due teste bionde brillano sotto il sole alto, sopra il cuore verde di Bullfinch, mentre Mohawe schizza al galoppo lungo la prateria.




Out here in the fields,
I fight for my meals,
I get my back into my living.
I don’t need to fight,
to prove I’m right,
I don't need to be forgiven.







27 Novembre 2515, Bullfinch (Prima linea).



16:54 Marshall [giungla]   « ... Stura fuori un grumo d'aria un po' asmatico, un po' ridereccio, risollevando il cranio con un sussulto brusco dei ciuffi fradici e affastellati » Vuoi imparare a tagliuzzare la gente o a ricucirla? « sbircia Moloko solo in tralice, favorito dall'occupazione che li vede affiancati, curvi in avanti come bestie da soma. L'inverno di Bullfinch non è mite; il fiato di Lee sfiotta tra le labbra in grumi di fumo biancastro, tanto è caldo il respiro custodito nel torace largo, tutto appiccicaticcio di pieghe della canotta sgualcita e grondante » Avevo capito, sweez. « scrolla il mento su e giù, spiegazzando un sorriso ripido ridosso alle guance magre, incastonate sotto zigomi aspri » ... Sennò ti avrei dato un pugno.


17:03 Moloko [giungla]  «  Continua a toccarsi il naso, la bocca e la fronte, con scatti infastiditi delle mani spiegazzate come fogli di carte, ricamate da cicatrici poco precise e molto frettolose. » dobbiamo prendere un cadavere, lo apriamo e mi spieghi che cazzo abbiamo nel corpo. Tipo polmoni, reni. « Spiega in modo maldestro e impacciato con gli occhi pulsanti, resi opachi da un sentimento fondo di disagio. »Per ora so solo che il cuore è come un tempio e dobbiamo proteggerlo col fucile e con i denti.« Non è una nozione medica, ma la getta fuori d'impeto strofinando il palmo della mano contro la cinghia che si frega fastidiosamente il collo. » you are my family « L'appunto è mormorato con malumore e una scossa burbera. Gli avesse dato un calcio nel culo, sarebbe stata sicuramente più delicata. » 


17:16 Marshall [giungla]   « fiotta un sibilo fra i denti stretti, quando il palmo largo della mano bendata perde la presa sulla cinghia e slitta in basso, riattizzando sul cuoio il bruciore dei tagli sparpagliati nella carne. Avviene in concomitanza con l'appunto delicatissimo di Moloko, che sbaraglia il resto delle sue considerazioni per coagulare sul volto sciupato e impervio di Lee, affilato come un profilo di roccia, una smorfia di crudo smarrimento. Inchioda barcollando nel fango, scaricando tra la melma lo slancio del passo smorzato per raddrizzare le spalle con una trazione brusca; gira il collo per sbatterle in faccia un'occhiata vorace e animalesca, intrisa di diffidenza limpida » Non ci sono spic nella mia famiglia. « l'obiezione cruda falcia ogni legame sul nascere, spezza le ossa allo spirito di corpo. Marshall allunga la mano fasciata per cercare la mandibola di Cortes con le dita spesse, indurite da calli mai visti sulle mani di un medico; c'è anche qualche taglio non rimarginato, spugnato dalla pioggia » ... Un tempio in cui non viene a pregare nessuno è come un tempio senza Dio, no? « la smorfia arricciata all’angolo della bocca tira su il neo incastonato nel profilo sinistro, traballando tra una sferzata di disorientamento sfastidiato e un sorriso arrogante. »


17:22 Moloko [giungla]  « Fiuta il buio che si fa largo tra le gambe, rende gli alberi poltiglie scure, lasciandola smarrita per una manciata di secondi. Inghiotte con violenza, due tre volte. La divisa non sembra pesarle addosso, la indossa con una spensieratezza indomita. Si raddrizza invano, il peso le schiaccia gli spasmi dei muscoli, si arrotola la stoffa della cinghia intorno alle nocche sbiancate. Bofonchia una risata sguaiata, protestando sull'onda dell'entusiasmo che si schianta con noncuranza sulla diffidenza altrui » non si sceglie la famiglia, mi fai schifo uguale. Le cose non cambiano.« Lo spiega con pazienza, come se l'altro fosse totalmente cieco. Il sudore non riesce ad asciugarsi, continua a rigarle la schiena sciolto nella pioggia. » adoro le macerie incontaminate «  argina la parola Dio, schivando la mano come se fosse un tizzone ardente. »


17:32 Marshall [giungla]   « mano a mano che il buio cala le torce si accendono, spazzando l'intrico nero della vegetazione con fasci di luce impietosa, che investe la pioggia rivelandone gli spilli fitti. Marshall serra solo il vuoto nello spasmo delle dita, braccando Moloko con uno strattone della testa e spingendole lo sguardo negli occhi attraverso l'ombra liquida, che quasi si ritrae attorno al chiarore torrido incastonato fra le palpebre del medico » Hhnrite. « la contrazione dell'angolo delle labbra potrebbe essere un sorriso come un guizzo di nervi tirati » ... Dio neanche esiste, dopotutto. « passa la lingua sulle labbra lucidate d'acqua, come ogni tratto di pelle non irruvidito dalla spazzola di barba incolta, contaminata di sprazzi biondastri. Appende le dita inerti a mezz'aria, poi torna ad allungarle in cerca del viso altrui; meno brutalmente, per quanto i suoi gesti siano l'antitesi della delicatezza » You're not my family. « la voce si piega lungo il corso scrosciante della pioggia, scivolando in un soffio basso; ha il tono di un'assicurazione schietta, ripulita dall’ostilità. Il lembo di labbra sollevato si arriccia fino a spingere lo zigomo in alto, schiacciando l'occhio corrispondente - come se Moloko fosse una creatura di luce che lo abbaglia senza riuscire a deviarne lo sguardo ostinato. »


17:43 Moloko [giungla]  « Deve combattere con degli ostacoli invisibili che la separano dal medico, cedendogli, tuttavia, una fiducia pulita e troppo vasta. Non riesce a immagazzinare l'ondata di agitazione che le scuote inconsapevolmente gli occhi, puntati sulla mano di Marshall. Stavolta non si scansa, ma i muscoli del collo, della mascella, si induriscono seguendo uno spasmo feroce dei muscoli. sente arrivarle addosso le parole, tutte, le mozzano il fiato facendole perdere un battito. C'è qualcosa di più caldo che gli si accende negli occhi. Ha il respiro gonfio che si solleva sull'ultima considerazione come un uragano. Istintivamente allunga una mano verso gli abiti del medico, all'altezza del collo, tenta di arraffargli con urgenza, perdendo il ritmo della marcia. » ascoltami coglione, finchè porterai questa divisa allora farò in modo che la tua faccia di merda non venga sfiorata da quei porci maiali dei corer, right?« la voce le esce animata e frammentaria, sbalzata dai respiri. » Non sono la tua famiglia, ma non puoi costringermi a pensarla come te.


17:51 Marshall [giungla]   « lo spasmo di muscoli che irrigidisce la mandibola altrui, sotto le dita, gli trasmette una scossa che sguscia sotto pelle come un brivido, torcendo una vampa di brutalità negli occhi. Se prima le premeva addosso il filo acuminato dello sguardo, adesso è il volto di Moloko a risucchiarlo fra i lineamenti induriti e i segnali lampanti della contrazione. Deglutisce, inerpicandosi fino ai suoi occhi con avidità indocile e affascinata. Viene strattonato per la canotta lisa da una mano che non ha nemmeno visto arrivare; il tessuto sibila e si strappa sotto le dita altrui, slabbrando lo scollo slargato ridosso le linee guizzanti del torace. Nell'alone mobile delle torce che fendono la notte tutto attorno, balena il riflesso metallico delle piastrine custodite nella conca dello sterno » You're no family. « rigurgita un soffio basso e irruvidito, scacciando attraverso le narici un fiotto di fiato caldo » But you are ... Sumthin'. « la concessione che gli sfila dalle labbra incontrollata, fra i battiti di cuore che rimbombano negli occhi da lupo. »


17:59 Moloko [giungla]   «  Marshall le ha scatenato una reazione a catena che trema sotto la pelle che lui stesso stringe, freme come una bestia in catene e quando riprende a parlare gli occhi sono fermi sul viso dell'altro come se fosse buco nero, magnetico. »Cortès è solo carne da macello, Lee è una merda di medico, Cortès vene rimpiazzata facilmente, Lee no.«  ragiona come se fossero una scacchiera »Tu ci servi dio solo sa quanto e il tuo unico compito... è ricucirmi e ributtarmi nel mattatoio ancora e ancora e ancora «  La mano scivolosa impatta contro lo sterno con debolezza, dal modo in cui tira la stoffa si direbbe che stia cercando un appiglio, spinge verso il basso come se avesse perso la forza e l'orientamento. » finché non mi dissanguano e non potrai più aggiustarmi. « Seppur riesca a sostenere lo sguardo dell'altro, nel suo inizia a comparire un getto di frustrazione bollente, che coincide con lo scintillio delle targhette. Per un attimo stringe lo sguardo verso il petto del medico, lasciando di scatto la presa, come se avesse bisogno di smaltire, fermarsi. » Sumthin' « Scimmiotta l'accento con una smorfia soddisfatta. »


18:04 Marshall [giungla]   « qualcosa tra "rimpiazzata" e "mattatoio" ne rivolta lo sguardo e i muscoli inaspettatamente, risucchia il freddo umido e le linee contorte della giungla in un lampo nero e fa scattare le nocche della mano libera di Marshall in cerca del viso altrui - tenta di schiantarcele d'impeto, in uno spasmo violento e impregnato di ferocia selvatica, strattonandole il mento serrato fra le dita per impedirle di sottrarsi in un guizzo di slealtà istintiva; astuta ma non ragionata. »


18:12 Moloko [giungla]  «  Probabilmente si aspettava qualcosa del genere, un'esplosione di qualche tipo. La penombra le getta contro il profilo un'espressione più cupa, sicuramente dolente, probabilmente è per via del rimorso che si annida nello stomaco assieme alla percussione del cazzotto di Marshall. Non riuscirebbe a schivarlo, ma qualcosa nella sua immobilità tradisce un desiderio, vile, di accusare una batosta fisica. Solleva appena il mento, con un fremito di inquietudine per la stretta che subisce. Questo fa si che la botta le si schianti all'angolo delle labbra, graffiando la bocca e riaprendo le ferite. le sente sanguinare d'immediato, in modo affatto preoccupato. Il viso guizza di lato, getta gli occhi a terra, da qualche parte, sputando un grumo rossastro » Torniamo a lavoro.


18:19 Marshall [giungla]   « nell'impatto di nocche e carne trova un sollievo crudo e viscerale, che ne alleggerisce istantaneamente il peso degli occhi. Ignora le ripercussioni accusate dai muscoli incordati della spalla, ritraendo le dita allentate, inerti, le cui nocche pulsano di fitte deboli e corroboranti. Allunga un sorriso ripido e solare - al punto da sfidare le nubi e il buio - sulle labbra, arricciando il superiore alla maniera delle bestie » ... Ntch. « l'assenso è più uno schiocco della lingua dietro ai denti; precede l'allentarsi della morsa sul mento altrui. Prima di ritrarre del tutto le dita, con le nocche ammaccate dallo scontro col suo viso le ripulisce dal sangue annacquato il taglio all'angolo delle labbra. È una sfregata di pelle indelicata, ma intrisa di premura assoluta. Le rimanda indietro la testa con uno strattone e arretra, voltandosi a cercare la cinghia del gatling abbandonata nel fango. »


18:27 Moloko [giungla]   «  Sente la bocca pulsare, come se la presenza asfissiante del compagno fosse ancora schianta sulla pelle. Non comprende del tutto la sensazione latente di insoddisfazione che le batte, come un tamburo, nel ventre e nelle ossa. Si passa la lingua sui denti mentre avverte il fastidio della pelle ruvida che si accanisce sulla ferita. Stringe il viso contraendo la fronte, gli sputa il fiotto di sangue e pioggia contro. Probabilmente lo colpirò di struscio, forse neanche. » s..-«  Ingoia a vuoto appigliandosi alla cinghia. »è la verità «  Vorrebbe dire altro ma non le riesce, cambia parola all'ultimo, virando bruscamente. » smettila di provocarmi «  Lo biascica nel buio, tirando su col naso. »


18:34 Marshall [giungla]   « risucchia il moto di sollecitudine in uno scossone indifferente delle spalle, assestando di traverso alla canotta strappata la bandoliera del Benson incastrato fra le scapole, scivolato scomodamente nel tumulto. Curvando la schiena, raspa la fanghiglia annerita dall'assenza di luce con le dita ruvide, ripescando la cinghia che impugna col palmo rivolto all'interno e il gomito flesso, senza passare dal sostegno della spalla » Hhnnà. « scrolla la testa, spazzando i ciuffi brunastri e impregnati d'acqua con la mano larga » ... It’s entertaining. « le rivolta addosso un'occhiata traversa, sghemba come il guizzo ripido delle labbra. Poi accenna col muso al fitto della vegetazione, facendole cenno di riprendere a trascinare. » (End.)


18:44 Moloko [giungla]  «  Il dorso della mano strofina con impellente bisogno, il mento, il taglio, tutti i punti sfiorati da Marshall, come se bastasse a scrollarsi di dosso l'impellente bisogno di sfracellarsi contro qualcosa. L'energia accumulata, le scariche represse, rendono la testa pesante.La limpidezza dello sguardo, ribaltato sul Medico, si trasforma in un focolaio infiammato da veleno. Biascia qualcosa di incompresibile, un dialetto spagnolo che viene sporcato da una mezza parola assolutamente comprensibile »..asshole«  si getta contro il freddo trainandosi dietro il gatling che le fa affondare gli stivali nel terreno, li sbatte un paio di volte. Scuote il capo, sbuffa, probabile che di li a poco cercherà invano -lanciando mille bestemmie - di accendersi una sigaretta. »/end

You can’t always win.

15 Dicembre 2516,
Bullfinch (Amarillo).
Interno giorno.


Nina e Marshall si fissano ai lati opposti della stanza.
La giovane donna bionda dai muscoli asciutti e i capelli crespi ha la determinazione stretta fra le rughe d’espressione abbronzate come il fucile tra le mani. Lo tiene di traverso con la stessa noncuranza minacciosa con cui tiene gli occhi verdazzurri piantati in faccia al fratello senza quasi battere le palpebre.
Mitchell li contempla, masticando il filtro di una cicca spenta, con un braccio appoggiato contro lo stipite della porta e un mezzo sorriso intriso di strafottenza melanconica.

"C’mon, Chino." – incalza il fratello minore con un guizzo accomodante di un solo angolo delle labbra, calibrando con cura la parabola del pacchetto mezzo vuoto che gli lancia incontro.

Marshall lo prende al volo con una smorfia, alternando fra i due Lee lo sguardo nervoso dell’animale in gabbia.

"Shit … I dun' have no fuckin’ choice, do I?"

Una sigaretta gli finisce in bocca, cinque dita spesse fra i capelli appena messi in ordine da Nina, che sbuffa e alza gli occhi al cielo di legno della baita.

"… Fuck you, Marsh, non ti sposi neanche in chiesa, il Signore mi fulmini se ti lascio arrivare all’altare vestito come un pezzente."

Rinsalda la presa sul fucile con un singulto spazientito delle dita lunghe e callose, tracciando una smorfia di riluttanza incerta fra gli spigoli del muso del minore dei Lee.
Mitchell alza le mani con innocenza plateale.

"She’s the man in charge, comrade."

Marshall ingoia un fiotto d’aria corposo attraverso il naso, prendendosi il tempo necessario a dare fuoco al tabacco sintetico per valutare gli indumenti abbandonati sulla sedia.
Sfiata un grumo pesante di fastidio e rassegnazione.

"I fucking hate the both of you."

Nina Lee molla il fucile con un sorriso radioso, ricucendo le distanze per prendere la testa di suo fratello fra le mani e schioccargli un bacio insolitamente morbido sulla guancia rasata di fresco.

"Well, the both of us love you. Dumbass."

domenica, dicembre 7

VI. Shombay Cortès

6 Dicembre 2516,
Safeport (Sunset Tower).
Interno giorno.


"Devi accoglierlo come un ospite sacro, lo porti in un bordello, gli offri da bere e poi vi scopate una puttana. È obbligatorio, la mattina seguente ti svegli, vai nella sua camera e gli chiedi il permesso di sposarmi."

"Aspetta … Aspetta. Ci dobbiamo scopare la stessa puttana?"

"Sì, è un simbolo di comunione. Solo che non devi per forza assistere, in teoria … Dovresti."

"Per Dio, stai scherzando."

"Ma che vuoi da me? Che cazzo vuoi da me … È una tradizione di famiglia. Lo vuoi fare con Sergio?"

"No cazzo, non lo voglio fare e basta. Christ."

"Le cose sono due, o lo fai o non ci sposiamo perché mio padre non viene al tuo … Al mio-- al nostro … Matrimonio. Hai capito?"

"Devo vomitare."

"Aspetta che si scopi la puttana fuori la porta e poi vai tu. Santo cielo, è una femmina … E tu cazzo quante puttane ti sei scopato mentre stavi con me? Non lo voglio sapere. Ma lo sai fare benissimo."


[…]

Marshall si sveglia con la testa sottosopra come la stiva di una Firefly durante un Ivan the Mad, immerso in un pantano di alcol e blast.
In qualche angolo impreciso del cervello si sente sporco, vorrebbe lavarsi la pelle fino a strapparsela di dosso. Stropiccia le palpebre col palmo delle mani e torce il collo per adocchiare la ragazza nuda che si torce mollemente fra le lenzuola sfatte.
Si tira in piedi barcollando, scavalcando il bordo del letto impregnato di sesso con una mano aperta contro le suture cucite intorno al cuore, sepolte sotto strati di bende e fastidiosamente infiammate dagli eccessi della nottata.
Trascina cinque dita spesse fra i capelli e ricaccia indietro un conato di nausea, tastando le narici arrossate con le nocche rotte mentre un brivido gli si arrampica lungo la schiena larga.
Trova i jeans a tentoni e li infila incespicando verso la porta, calpestando a piedi nudi le assi di legno incrostate di liquore. La luce fioca e violacea del mattino di Sunset Tower filtra tra gli scuri accostati delle finestre e gli ferisce le pupille dilatate mentre scavalca il breve tratto di corridoio che conduce alla stanza di fronte.
La risposta all’impatto delle nocche sul legno è un grugnito impastato.
Oltre il vano della porta, Shombay Cortès è una massa enorme di carne nera abbandonata ai piedi di un letto sfondato, la camicia a righe grigie e verdi sbottonata sul ventre prominente e una bottiglia di rum appoggiata in mezzo alle gambe. Siede sul pavimento sporco come un re primitivo sul suo trono di pietra e ossa.

"Lee." – la sua voce bassa sembra sgorgare dalle profondità della terra.

C’è un odore di bloom nauseante, Shombay ha una sigaretta incastrata distrattamente fra le dita tozze da picchiatore.
Marshall vacilla sull’uscio, travolto da un nuovo conato respinto a fatica. Raspa un bolo di saliva e lo sputa per terra, impastando come fango i capelli incollati di sudore.

"Cazzo, facciamola corta."

Il padre adottivo di Moloko ne accoglie la supplica snervata con aria impassibile. Non gli ha mai sorriso, da che ha messo piede su Safeport, nemmeno quand’era troppo ubriaco e troppo fatto per reggersi in piedi.

"Porta rispetto, mezzasega bianca, che non ti ho messo le mani addosso solo perché tieni due buchi in corpo."

Lee sfrega la lingua contro il versante interno della cicatrice ricurva che gli percorre la guancia sinistra, sfiatando un grumo di pazienza attraverso il naso adunco e addentrandosi nella camera con i nervi strozzati a fatica nel guinzaglio della necessità.

"Alright, mister Còrtes. – appende le dita dietro la nuca indolenzita, deglutendo un mattone di disagio e sbattendo lo sguardo fra le pareti della stanza come il volo di un calabrone rinchiuso sotto un bicchiere di vetro; – I’m here to ask your daughter’s hand in marriage."

"No."

Gli occhi chiari e arrossati di Marshall schizzano sulla faccia di Shombay come le schegge di una granata. Trascina le sopracciglia all’attaccatura del naso, rivoltando sul muso ispido una smorfia d’incomprensione interdetta.

"Come no."

Cortès è ancora seduto sul pavimento, placido come un bue dentro una pozza di fango. Solleva la bottiglia e manda giù il fumo dolciastro della bloom con un sorso di liquore.

"Tu estas empezando la casa por el tejado, ti pensi che sei venuto qua ed è tutto fatto."

Basta il dialetto di Maracay a trasformare la nausea di Lee in un nodo bollente d’insofferenza. Torna a spazzare la stanza con lo sguardo e cerca la metà cucita del torace con la mano aperta, premendo sulle bende e spingendo attraverso il naso una manciata di respiri potenti.

"Jeez, we fucked the fucking whore." – ringhia, rimpiangendo di avere lasciato il revolver sul letto.

Shombay ingoia un’altra boccata di rum. Deve aver ricominciato a bere e a fumare appena sveglio, ma sembra solidamente lucido; valuta il ’Buller dal basso con indolenza analitica.

"Perché la mia unica figlia la dovrei dare a te."

Marshall rivolta il labbro superiore in un fremito nervoso, ma con gli angoli della bocca stirati verso l’alto da una contrazione svelta. Dedica un’ultima occhiata alla stanza e copre l’ultimo paio di passi per piegarsi lentamente, barcollando, a sedere sui calcagni di fronte al proprio interlocutore.
Gli ficca lo sguardo negli occhi con un lampo di prepotenza.

"Perché me la sono già presa. L’ho conquistata palmo a palmo in mezzo al fango e ai proiettili, sotto le bombe, e adesso è mia. – contrae le narici come un animale per ingoiarsi l’odore di bloom, di alcol, di sudore stantio, trascinando i vertici di un ghigno brutale all’ombra degli zigomi aguzzi; – … Ho vinto io questa guerra, vecchio."

Nell’arroganza minacciosa e territoriale con cui si protende verso di lui non si agita nessun disprezzo. Gli si rivolge con l’esprressione che nel ’Rim si usa per identificare il padre proprio o di qualcun altro, un uomo che ha vissuto più a lungo e visto più cose di te, e che ha preso la vita a calci in culo fino a conquistarsi il lusso di arrivare abbastanza in là con gli anni da sentirsi chiamare 'vecchio'.
Un titolo che è quasi una medaglia.
Shombay sostiene il suo sguardo con una malinconia improvvisa, abbandonando la bottiglia di rum sul pavimento per arpionargli la nuca con una mano enorme e baciargli le guance con affetto rituale.

"Sei un bravo ragazzo."

Tornando allo spazioporto con le mani in tasca, barcollando fra le strade sporche di Sunset Tower, Lee si ferma a svuotare lo stomaco degli ultimi grumi di tensione.





But my hand was made strong
by the ’and of the Almighty.
We forward in this generation
triumphantly.

Won’t you help to sing
these songs of freedom?
’Cause all I ever have,
redemption songs.

giovedì, dicembre 4

III. Josè Cortès

28 Novembre 2516,
Richleaf (Maracay).
Interno giorno.


L’infermeria di Tartagal ha sempre lo stesso odore di disinfettanti scadenti, di medicinali andati a male. Al posto degli antidolorifici usano la Switch e nei letti passano tutti i tossici della zona a cercare di spacciarsi per malati. Una volta un ragazzo con le occhiaie scavate fin dentro al teschio si è sparato su un piede per riuscire a farsi dare un paio di dosi.
Josè Cortès è l’unico medico dell’ambulatorio a non andare né in chiesa né ai riti delle paludi, a non tracciare croci d’acqua sporca né sigilli di sangue animale sul petto dei propri pazienti. Ha capito che nel lavoro devi scegliere se affidarti alla benevolenza di qualche potere superiore o soltanto alla precisione delle tue mani; che non puoi essere sia un santone che un dottore.

"Ci sai stare fermo, Tractòr?"

Si lamenta con un fiotto di voce profonda, pacata come il corso regolare di un fiume, mentre passa l’ago attraverso la guancia di Marshall, ricucendone i lembi con cura metodica e mani da picchiatore intrise di leggerezza.
Il fascio di dreadlocks raccolti verso l’alto gli spiove sulla testa come le fronde di un salice.

"Hhnnch."

Il grugnito inarticolato di Lee è riottoso quanto i fasci di muscoli rivoltati lungo le spalle, frementi nell’immobilità cui è costretto, inaccessibile alle mani dell’unico medico di cui si fidi sulla faccia del ’Verse: sé stesso.
Josè ne percepisce il fastidio, la tensione inquieta, ma finisce di chiudergli i punti sulla faccia con pazienza.

"Sergio non è venuto."

Alza le mani, mostrando l’ago pinzato fra due dita e il palmo vuoto come si fa per rassicurare gli animali. Marshall lo insegue con gli occhi inumiditi dal dolore, smaniosi come una muta di cani, mentre si contrae come una molla per tornare in piedi e scrollare le spalle, iniettando fra i capelli le dita dalle nocche sbucciate. Rivolta i ciuffi bruni, corti e disordinati con ostinazione nervosa; la tentazione di un ghigno crudo gli tende i punti freschi scaricando fra le ciocche lo spasmo di una trazione violenta, che combatte il dolore con altro dolore.

"Il naso gliel’ho sistemato io." – articola a fatica, masticando la voce rauca insieme al sapore di sangue e disinfettante.

Josè sta mettendo gli strumenti a bagno nell’alcol, ma si ferma per girare il collo e scorrere gli occhi neri, accesi da una luce sorniona, sul muso gonfio, sfregiato e tumefatto del ’Buller.

"Allora avete fatto pace, ah."

Lee sputa un grumo d’ilarità scettica attraverso il naso, mostrando a Cortès il dito medio prima di frugarsi le tasche del pantalone mimetico. Ci trova un pacchetto di Cheltenham mezzo vuoto e lo mette in mano al fratello di Moloko con un sospiro sfastidiato.

"In questo buco è peggio di una trincea, cercherò di farti avere qualche pesos che non viene dalle mani dei trafficanti … Soldi puliti."

Marshall strofina un polso solido contro la fronte, Josè si prende le sue sigarette con un sorriso disincantato e gli molla una pacca generosa sulla spalla.

"Como echar agua al mar, i soldi sono fiori che sbocciano nel sangue."





Keep spending most our lives living in the Gangsta’s Paradise.

venerdì, novembre 28

II. Sergio Cortès

27 Novembre 2516,
Richleaf (Maracay).
Interno notte.


Sergio Cortès ha sempre fame. Di donne, di soldi, di violenza, di potere.
Si arrampicherebbe nella bocca dei Loa per cagargli sulla lingua.
È una montagna di muscoli gonfi e vene sporgenti come il bianco itterico dei suoi occhi, in cui i capillari s’intrecciano come fili di sangue. Pieno di blast fino alle orecchie, barcolla lungo le scale che connettono l’appartamento blindato di Las Rosas al garage sotterraneo, come una discesa agli Inferi amplificata dal rimbombare della musica attraverso i corridoi sventrati da una folla di trafficanti e puttane.
La mandria di uomini che lo accompagna è composta da quattro elementi che hanno addosso armi per un esercito; ridono e si insultano nel dialetto stretto di Maracay, gravitando intorno a Sergio come satelliti.
Le chiavi del suo nuovo thor sono agganciate al pollice tumefatto, non ancora decomposto, dell’uomo a cui l’ha preso. Le lancia in mano ad uno dei compari con un ghigno aperto sulla faccia scura come una ferita bianca e rossa.

"’Sto stronzo dentro al cemento non ci guida più."

Un’esplosione di risate, gli uomini si spintonano e si baciano sulle guance, quattro di loro si infilano nel thor e fanno stridere gli pneumatici sull’asfalto, schizzando fuori attraverso la notte.
Solo una volta che è rimasto solo il padrone di casa si rende conto di non esserlo veramente.

"Com’è che gli amici tuoi ridono sempre e tu sei sempre incazzato?" – la voce di Marshall è un cortocircuito d’allerta lungo i nervi cotti dalla blast di Sergio, che gli ha puntato addosso la canna del mitragliatore prima di riconoscerlo.

Il bianco alza le mani e gliene mostra il palmo vuoto, rivoltando un ghigno da bestia insofferente all’ombra degli zigomi aspri.

"… Easy, big boy."

Sergio si prende l’incoraggiamento pacifico di Lee con una smorfia sprezzante, facendogli cenno di avvicinarsi con il mento.

"Chi cazzo ti ha detto di venire qui, pezzo di frocio bianco."

I muscoli di Marshall si tendono e si rivoltano dentro la carne, scintillando sotto la patina lucida che il sudore gli ha incollato sulla pelle della gola e del muso affilato, ma alla domanda di Sergio risponde solo con un fremito degli angoli della bocca che basta a mandargli a fuoco il cervello.

"Jódete, maricon."

Il calcio del mitragliatore schiocca contro la faccia del bianco come una fucilata, sbattendogli le scapole larghe ridosso la grata piena di attrezzi (scalpelli, cacciaviti, seghetti che nel corso della vita hanno incontrato più carne che metallo) inchiodata sul muro. Cortès getta il mitragliatore da una parte per buttarglisi addosso, ma non si aspetta la scudisciata di spalle energica con cui Marshall gli schianta la fronte sul naso: lo sente scrocchiare e spezzarsi, innaffiandogli le labbra gonfie di sangue, ma il dolore affonda nella pozza di blast e adrenalina che ha al posto del cervello.
Sergio non barcolla, non arretra, afferra alla cieca il bavero del maglione di Lee e gliene strappa lo scollo sfilacciato. Si prende un calcio sul ginocchio e sente la gamba cedere, stavolta, ma strattona il bianco per il petto e gli si aggrappa addosso per vincere il tentennamento dell’articolazione. Lo investe come un’onda di marea nera, troppo grosso perché Marshall riesca a non farsi trascinare fino al cofano della jeep sul quale il negro lo sbatte inchiodandolo col proprio peso.

"Come sta mio nipote?" – si informa con apprensione ruvida, un gomito piantato contro lo stomaco dell’uomo di sua sorella, mentre lecca il sangue che gli gronda dal naso e lascia che qualche goccia rossa cada sul viso altrui.

Marshall accartoccia una smorfia riottosa, ancora troppo simile a un sorriso per i gusti di Sergio, strizzando un occhio e torcendo i muscoli sotto la zavorra di carne che gli impedisce di scollare la schiena larga dal metallo.

"… Always misses his mom."

Sergio annuisce. Persino lui ha nostalgia di Moloko, di tanto in tanto, e i bambini hanno bisogno della madre. Per questo riempie la sua donna di lividi e le ha scavato il suo nome nell’interno di una coscia a filo di coltello, ma non l’ammazzerebbe mai adesso che gli ha dato un figlio.
Hope crescerebbe meglio senza questo stronzo di suo padre, però, pensa mentre cava il coltello a serramanico da una tasca e tiene fermo il mento di Lee con una mano per infilargliene la lama in bocca.

"Cosa cazzo vuoi, puerco blanco?"

Marshall contrae gli zigomi in una smorfia di fastidio irrequieto, ma i suoi occhi brillano come la lama del coltello che cerca di evitare, con la lingua, mentre scrolla le spalle larghe contro la carrozzeria della jeep e sputa fuori un grugnito biascicato.

"I- uh, ’ame fo falk afouf ’ufineff."

Sergio Cortès ha sempre fame. Di donne, di soldi, di violenza, di potere.
Appunta il coltello contro l’angolo del ghigno contratto di Lee, specchiandolo con le labbra carnose e rosse di sangue mentre, chinato su di lui, gli fiotta in faccia un respiro impregnato di rum e metallo.

"Va bene, white trash, parliamo di affari."

Il coltello trancia la carne della guancia come un telo di stoffa, cavando alla gola di Marshall un ululato sofferente.





Don’t got a lot of time, don’t give a damn.
 Don’t tell me what to do, I am the man.

giovedì, novembre 27

I. Gabriel Cortès

27 Novembre 2516,
Richleaf (Maracay).
Interno giorno.


Gabriel Cortès è il più giovane e il più magro dei fratelli di Moloko. L’alcolismo gli ha asciugato i muscoli sulle ossa e ha calato una patina di allucinazione umida sugli occhi gentili, annegati nella distrazione degli artisti. Al sanatorio di Tartagal ci va per schizzare su fogli di carta volanti la miseria, la morte e il dolore: si immerge fra i malati e i feriti in cerca di ispirazione, ma anche di riscatto per le vite senza nome a cui restituisce pennellate di dignità nei suoi quadri.
Marshall lo trova sprofondato in una vecchia poltrona sgualcita, dall’imbottitura rotta, che qualcuno ha trascinato al capezzale di una bella ragazza sospesa fra la vita e la morte per la mitragliata sfuggita ad uno scontro fra bande. Danni collaterali.

"Me dicen el desaparecido
que cuando llega ya se ha ido

volando vengo, volando voy

deprisa deprisa a rumbo perdido …"

Gabriel la scruta con un occhio chiuso e uno aperto, la testa appena appena inclinata da una parte, come se stesse cucendole addosso uno studio prospettico, mentre si fa scivolare in bocca le note dolci di una canzone trasognata.

"Cuando me buscan nunca estoy
cuando me encuentran yo no soy
el que está enfrente porque ya
me fui corriendo más allá …"

Lee non lo interrompe subito. Cava un pacchetto di sigarette alle tasche del pantalone mimetico e ne raccoglie una con i denti, sfilando con le dita spesse una seconda Cheltenham da incastrare sopra l’orecchio sinistro di Gabriel che, come allo spezzarsi di un incantesimo, spegne la voce per torcere a malapena il collo e guardarlo di traverso.

"Si sveglia?" – Marshall biascica sul filtro della cicca mentre, schivando lo sguardo da sonnambulo del ragazzo, fa piovere il proprio sopra la sua spalla.

Sul taccuino spiegazzato che Gabriel tiene sulle gambe ci sono poche linee tremanti scavate a matita, e in quella manciata di linee ammucchiate quasi distrattamente il corpo della sconosciuta viene fuori dal foglio come un sogno sfaldato alla luce del mattino.
Il pittore si stringe nelle spalle.

"No sé, dicono che se non si sveglia stanotte non si sveglia più." – non è crudele, Gabriel Cortès, ma infinitamente assente.

Marshall si accende la sigaretta masticando una boccata di disagio, un’impazienza che solo i momenti d’inerzia irreale dei tossici e degli alcolizzati riescono a mettergli addosso: Gabriel sembra stremato, all’idea di muoversi, ma si tira in piedi per barcollare accanto al letto scalcinato della ragazza senza nome e sporgersi a guardarla dall’alto.

"Cerco tuo fratello."

Gabriel flette la schiena affusolata in una curva dolce, malgrado gli spigoli alati delle scapole, per posare un bacio sulle labbra della bela adormecida.

"… Sergio."

Il nome del fratello maggiore convince Cortès a voltarsi, appoggiando le natiche al comodino di metallo spoglio su cui qualcuno ha posato un fiore di carta di giornale. Incrocia le braccia e spiegazza un sorriso gentile, distaccato.

"Nessuno cerca Sergio, tutti sperano solo che non sia lui a trovarli."

Marshall mastica il filtro della cicca con un’alzata di spalle, appendendo le dita spesse di una mano al collo slabbrato di un maglione blu dalla trama sfilacciata. Rigira un ghigno melenso da canaglia sotto gli zigomi aguzzi.

"C'mon, Gabe …"

Gabriel dondola sui talloni con aria indecisa, uno strano sorriso eccitato sulla bocca e occhi più vacui che mai.

"Andiamoci a bere una cosa, prima. Serginho mi potrebbe anche ammazzare."





Me dicen el desaparecido

fantasma que nunca está,

me dicen el desagradecido

pero esa no es la verdad

Yo llevo en el cuerpo un dolor

que no me deja respirar

llevo en el cuerpo una condena

que siempre me echa a caminar

mercoledì, novembre 26

Un fratello maggiore non ha sempre ragione, solo qualche anno in più.

26 Novembre 2516,
Safeport / Bullfinch.
Interno giorno.


"… Ti ho spaccato la faccia perché hai dato un bacio alla mia ragazza, Chino, vuoi sapere che farei al tuo posto? Gli aprirei il petto con una fucilata allo stronzo che vuole fotterti Moloko."

Mitchell scalpita e sfiata come uno stallone nervoso, Marshall sente le assi di legno del salotto di casa scricchiolare mentre il maggiore dei Lee cammina in cerchio come un animale in gabbia (lo sa perché è la stessa cosa che fa lui quando vorrebbe prendere a pugni qualcuno che non c'è).

"Jeez, statti calmo, nessuno qua si fotte nessuno. A parte in senso letterale." – l’ironia del gioco di parole gli spreme un fiotto d’ilarità sorda attraverso il naso, stirando i vertici della bocca in una mezzaluna aspra.

"How the fuck d’you know-- he fuck’d her, how d’ya fuckin’ know he’s not going to steal her.“

"I just-- fuck you. I know shit ok? Come quando sai che hai vinto un rodeo e l’ultimo gaucho non è ancora salito sul toro."

"Cristosantissimo, stai paragonando la tua donna a un toro."

Marshall strofina un ghigno ruvido sul dorso delle nocche consumate.

"Per Dio, Marsh, tu sei tutto storto."

"Porcaputtana, Mitch. – la voce di Nina, ovattata dalla distanza e dal gracchiare della linea disturbata, si leva da qualche parte alle spalle del fratello – … La vuoi smettere di tirare Nostro Signore in mezzo ai fatti vostri?"

Il ghigno di Marshall degenera in una risata che fa esplodere il disturbo metallico della frequenza cortex come lo sfrigolio impazzito dell’olio in una padella, costringendolo ad allontanare il pad dalla bocca.

"Shit, coglione, sei ancora lì?"

"Dipende se hai finito di essere geloso della mia femmina."

"Non sono geloso, stronzo."

"Jeez, come no. – Marshall strofina una mano fra i capelli sfatti; – Sei marcio."

"Fuck off, lil’one, sei tu che mi vieni a confessare tutti i cazzi tuoi come se fossi un cazzo di pastore."

"’Course I do, you're my big brother."

Mitchell intuisce il sorriso da lupo di suo fratello a parsec di distanza, trascinando una mano contro il viso per trattenere malamente l’ombra di una risata arresa.

"Vi devo dire anche un’altra cosa. – grugnisce il minore dei Lee, prima che lo stridio metallico di una voce fuori campo lo richiami con urgenza (attraverso il cortex si capisce poco: radiazioni, scavengers, baracche); – Fuck-- ti richiamo."

Marshall chiude la comunicazione.

Mitchell lascia rotolare il pad sopra il tavolo e trascina le mani nei capelli, stropicciando una smorfia d’incomprensione cruda. Solleva lo sguardo su Nina, appoggiata contro lo stipite della porta con le mani nelle tasche della lunga gonna da cowgirl e una Black Mamba eccezionalmente accesa fra le labbra.

"By the way … – biascica svogliatamente sul filtro, inarcando appena le sopracciglia bionde; – It was her who fuck’d him."







Se ti dicono di alzarti tu siedi 
e, quando siedono, tu alzati in piedi.