domenica, maggio 11

Detention.

6 Maggio 2516,
Hall Point (zona detentiva).
Interno notte.


"Sveglia Lee, brutto cazzone, dormi da morto."

Jordan cerca di svegliarlo, ma Marshall non dorme. Si muove solo troppo silenziosamente perché lei lo senta rivoltarsi e misurare la propria gabbia a passi lunghi ed irrequieti come un animale. Non le risponde mai. Assapora ogni ora di solitudine con la consapevolezza che Jordan Fox stia soffrendo, di là dalla parete di lamiera, la stessa noia che inchioda i suoi muscoli sotto la pelle e gli inonda col grigio lucente del metallo ogni angolo del cervello. E più lei si affanna per attirarne l’attenzione, più Marshall la ignora e si trincera nel silenzio ripetendo mentalmente poesie e canzoni imparate a memoria, il nome e la dislocazione di ogni osso del corpo umano; contando i minuti che lo allontanano inesorabilmente dall’ultima assunzione di Nootropam prima che la sicurezza di Hall Point gliene confiscasse il flacone.


8 Maggio 2516.
Interno notte.

A svegliarlo è il ticchettio lento, regolare, della goccia d’acqua che scivola da una fessura tra le placche del soffitto. Strizzando le palpebre attraverso l’illuminazione fioca e costante dell’area detentiva, trova la pozzanghera sporca stretta nell’angolo fra le pareti. Trascina il peso sul gomito sano per strisciare una mano callosa contro lo sterno livido e ricacciare indietro un conato di nausea. Si tira in piedi nervosamente, con la testa che ronza e lo stomaco a fior di labbra, raccogliendo il secchio posato accanto alla branda e già pieno di vomito per svuotarlo nel cesso chimico incassato sul fondo della cella. Ci si accoscia davanti, respira lentamente. Rigurgita un’altra leccata di bile acida prima di tornare fino al letto. Si addormenta a fatica con il gocciolio insistente a martellargli nel cranio.


10 Maggio 2516. 
Interno giorno.

Seduto sul bordo della branda, svolge lentamente la fasciatura con cui il medico dello skyplex gli ha assicurato l’articolazione lussata del gomito e trova, sotto la garza, il livore tumefatto e maleodorante della cancrena. Da qualche parte, una porzione razionale del proprio cervello gli suggerisce che il decadimento che gli sta mangiando la pelle debba avere a che fare con il nootropam, ma la maniera in cui il tessuto marcio reagisce all’ispezione dei cinque sensi è troppo reale, e la necrosi non rientra fra i sintomi di un’astinenza da farmaci. Nemmeno fra gli strascichi di una lussazione. Marshall è sicuro che saprebbe capire se è il suo corpo che sta imputridendo, o solo la sua lucidità, se solo il soffitto smettesse di gocciolare giorno e notte, con quel ticchettio insistente che lo sta facendo impazzire. Ma le provocazioni di Jordan Fox attraverso il muro sono una tentazione a cui non cede, piallando le scapole e la nuca contro il metallo per chiudere gli occhi e respirare il silenzio.


11 Maggio 2516.
Interno giorno.

Il secondino di Hall Point che viene a scarcerarlo è un tipo segaligno, silenzioso più della securer che l’ha scortato in infermeria. Marshall ha la voce atrofizzata in gola dal silenzio prolungato e lingue di necrosi arrampicate dal gomito alla spalla. Si alza e fa per imboccare nervosamente l’uscita, ma si ferma a un paio di passi dal corridoio, con la sensazione fastidiosa che il pavimento di metallo gli si stia allungando sotto ai piedi.

"Dovreste fare qualcosa per quella perdita."

Rivolta sulla bocca un ghigno ammezzato, crudo quanto il disorientamento dell’uomo che lo aspetta fuori dalla cella. Marshall torce le spalle e la nuca spessa, additando la pozza d’acqua e ruggine che la fessura tra le lamiere del soffitto ha innaffiato pazientemente per giorni. Il secondino allunga il collo e setaccia con lo sguardo le pareti spoglie. Poi si raddrizza, a sopracciglia contratte e spalle irrigidite, allungando a Lee un cenno asciutto della testa.

"Non c’è nessuna perdita, jackass. Muovi il culo."

Marshall si volta, cercando la chiazza di ruggine che ha eroso tre quarti della cella. La goccia è diventata una piccola cascata e l’acqua gronda oltre la porta, lambendo gli scarponi da lavoro del ‘Buller che deglutisce piano, trascinando una falcata svelta a ritroso per incamminarsi alle calcagna dell’addetto alla sicurezza.

Passando davanti alla cella di Jordan ne incassa gli insulti con un’alzata di spalle e gli angoli della bocca appesi all’ombra degli zigomi aspri.