martedì, maggio 27

Roads.

28 Maggio 2516,
Polaris (Just Bad Luck).
Interno notte.


Marshall schianta le nocche contro la lamiera e ingoia la fitta penetrante che gli sboccia dentro la carne lacerata, compressa fra l’acciaio e l’osso. A ciascuna esplosione liberatoria dei muscoli corrisponde un lampo rosso di dolore acuto, ficcato a fondo nel cervello, e un fremito delle labbra tirate contro le guance ispide.

"Caralho, sei venuto in casa mia e neanche sei passato a salutare."

La voce di Cristobal la riconoscerebbe nel cuore affollato del Cruzero; gli frusta i nervi come lo schiocco di un nerbo di cuoio ed inchioda a metà strada la corsa del pugno destro incontro alla parete. Marshall ci sbatte il palmo aperto, invece, scaricando il peso delle spalle curve lungo il braccio teso e rovesciando la testa verso il pavimento.

"Bones, Cristosantissimo- …"

"Non scomodare i santi, Lee, non ne vale la pena."

La faccia tatuata del ‘Leaefer è un teschio sorridente. A torso nudo, dondola sui talloni degli anfibi neri che gl’ingoiano i polpacci e le pieghe lasche del pantalone mimetico. Appeso al collo ha un teschio d’uccello e, per qualche ragione, un fiore di papavero appoggiato dietro l’orecchio destro.

"Vedo che non hai perso l’abitudine di prendere a pugni i muri."

Sembra indifferente all’intensità ostile dello sguardo col quale Marshall, rivoltato con le scapole inchiodate al muro, lo passa da parte a parte. Gli angoli della bocca di Lee scivolano verso l’alto lentamente; la nascita del suo sorriso ripido è come quella di una catena montuosa.

"Tu quella di passarci attraverso."

Cristobal allarga le braccia e poi le lascia cadere, stringendosi nelle spalle asciutte. Sfrega i polpastrelli di una mano a mezz’aria e, come in un gioco di prestigio, fa comparire fra le dita una sigaretta accesa già fumata per metà.

"Sei tu che mi hai chiamato qui, pendejo."

Marshall scuote le spalle larghe contro il metallo, spingendo le dita indolenzite nella tasca dei jeans per cavarne fuori il pacchetto di Maracaros. Abbassa lo sguardo sulle tre cicche rimaste con una smorfia nauseata, piegando il mento per sfilarne fuori una direttamente con i denti.

"Massé? – ci biascica sopra, scettico quanto il singhiozzo labile delle sopracciglia brune, – Sentiamo, perché dovrei volerti fra i coglioni."

"Per avere qualcuno che ti dica che hai fatto la cosa giusta."

Lee manda giù un mattone di saliva e sfugge agli occhi verdi di Oxossi per frugare la cabina in cerca di un accendino. Trova una manciata di fiammiferi sfusi sparpagliati sul comodino e ne arraffa uno mentre, scostatosi dalla parete con una torsione energica dei fianchi, misura nervosamente i sei metri per sei del pavimento. Accende la sigaretta soffocando sul filtro una smorfia nervosa.

"Perché proprio tu."

Cristobal si lascia cadere sul bordo della branda, stropicciando un sorriso dolciastro.

"Perché io non posso dirtelo."

Marshall sente la nausea tornare a montargli dentro come una marea nera mentre cede al richiamo degli occhi di Cristobal, deglutendo fumo e saliva con un fremito teso dei muscoli dorsali. Si strappa la cicca di bocca con due dita e brucia la falcata che lo separa dall’allucinazione come volesse investirla, ma fermandosi al contatto fra le proprie gambe e le sue ginocchia piegate sull’orlo del letto. Allunga il palmo aperto contro la testa rasata di Oxossi e aggrappa cinque dita dietro la sua nuca, perdendo la presa quando scivola a sedere sui calcagni e rovescia il viso dentro le mani che il ‘Leafer gli porge per raccoglierlo, ingoiandosi l’odore quasi dimenticato della sua pelle e il languore umido che gli squaglia dentro il costato.

"El aire del invierno
hace tu azul pedazos,
y troncha tus florestas
el lamentar callado
de alguna fuente fría.
"

Prima che il mormorio liquido di Cristobal riesca a farlo piangere una scrollata involontaria delle spalle lo riscuote bruscamente. Ha una mano aperta contro la parete e lo sguardo fisso sulla traccia sanguigna che le proprie nocche hanno lasciato sul metallo.

"Shit."

Elian è da qualche parte sul Brigade, diverse paratie più in là, ma è la sua faccia che immagina mentre torna a sfondarsi le dita sull’acciaio. Il pannello è freddo sulla fronte madida quando ce la preme contro, appannandolo col flusso torrido del proprio respiro. Non la scolla neanche mentre cerca le sigarette e scarta fuori una Black Mamba (le Maracaros le ha finite già da un pezzo). Mastica la nicotina a occhi chiusi, in faccia alla parete, piegandosi a sedere sui talloni.

"Hai fatto la cosa giusta."

Raddrizza la nuca e solleva le palpebre per arroventarsi lo sguardo con la brace che consuma la cicca sintetica, schiacciata fra i polpastrelli callosi del medio e del pollice. Se la spegne lentamente al centro del palmo sinistro, ingoiando il bruciore con un’impennata svelta del mantra stretto fra le chiostre dei denti.

"Hai fatto la cosa giusta, hai fatto la cosa giusta hai fatto la cosa giusta haifattolacosagiusta hai, fatto la cosa, giusta hai- … Fuck."

Lascia cadere il mozzicone a terra con un ghigno aspro, tirandosi in piedi per rimediare un'altra sigaretta da incastrarsi in bocca.



 


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