venerdì, gennaio 17

"Il corpo è fragile, la vita violenta."

16 Gennaio 2516,
Safeport (Sunset Tower).
Esterno giorno.


L’agonia di Martin non dura più di una decina di minuti, accasciato nella miseria lurida della Blind Alley, mentre il fuoco rosso del tramonto crepita dietro il cielo tossico di Sunset Tower. Il polmone bucato si accartoccia nel costato, risucchiandogli il respiro, ma il passaggio del perforante che l’ha sbattuto in terra ha stordito il dolore e Martin sente solo il freddo. Un freddo cane. Dicono che quando muori la vita ti scorra tutta davanti, lui non riesce neanche a ricordarsi com’è finito a soffocare nel proprio sangue con il browncoat di Jamison ripiegato fra la nuca tremante e l’asfalto.



Marzo 2501,
Boros.

Il giorno del suo matrimonio Martin Greedy è in ritardo, e ancora sbronzo marcio dalla notte precedente. Il mal di testa gli batte dentro il cranio come una voce silenziosa, che strepita e chiede insistentemente per quale ragione si sia fatto incastrare a questo modo. La visione di Lily Ann ai piedi dell’altare, coi lunghi ricci neri raccolti sotto il velo e lo strascico bianco impigliato di rose, non è l’epifania che con un tuffo al cuore lo rimette in pace con l’idea di legarsi ad un guinzaglio per tutta la vita. Ma è bellissima, perfetta come la curva tonda e tesa del suo ventre che gli ricorda la santissima ragione per cui si lascerà infilare e infilerà al suo dito le fedi che gravano, pesantissime, nella tasca del soprabito.


Luglio 2511,
Boros.

La trincea di Serenity Valley non aveva l’odore nauseante che si respira nel camposanto di Rumoi, che le esplosioni hanno dissodato fino a riportare a galla le ossa dei morti stratificati nella terra. Accanto a un cratere melmoso, in cui galleggiano i resti di lapidi fustigate dalle intemperanze del clima sconvolto dalle bombe, una colonna di croci male allineate custodisce i corpi dilaniati dalle incursioni alleate. Martin ha un braccio cucito al petto da una benda spessa, passato da parte a parte da un proiettile che ne ha lisciato l’arteria di poco; è fradicio di pioggia sporca e non saprebbe dire, esattamente, se a rigargli il viso sfatto siano le lacrime o il maltempo. Due croci nel carnaio hanno inciso sommariamente, sul legno, il nome di sua moglie e quello della sua bambina, ma la voragine invisibile che il dolore ha aperto sotto i suoi piedi lo tiene inchiodato alla base della fila, impedendogli di cercarle.


Dicembre 2515,
Bullfinch.

La vendetta può avere un gusto amaro, una volta conquistata, ma il sapore di una rappresaglia trasformatasi in sconfitta è lo stesso della disperazione; non si fa digerire, ma è lui a consumarti dall’interno. Della breve guerra sul pianeta dei tori Martin riesce a ricordare soltanto la pioggia, il fango, la pioggia e il fragore delle bombe. I volti spenti dei soldati annientati, la consapevolezza di non avere che due scelte: abbandonare la lotta o abbandonare la speranza.


Gennaio 2516,
Safeport.

Marshall Lee l’ha ricucito e gli ha fissato il braccio trapassato contro il petto, una volta, perché potesse affrontare il viaggio fino a Boros e ingoiare la rovina della propria vita. Adesso si raspa le labbra con la lingua e infila una mano fra i capelli, guardando Martin dal basso in alto per scavalcare il divario d’altezza e spingergli negli occhi la chiarezza abbacinante del suo sguardo; per dirgli "Jeez, Mart’ … Ci puoi morire, con questa merda. Per quello che ne so potrebbe anche farti marcire dal di dentro". È un bravo ragazzo, Lee; si arrende con insofferenza docile quando gli spiega di essere già andato a male fino al midollo delle ossa. Gli mette in mano tutti i dollari che ha tenuto da parte e lo spedisce al mercato nero di Sunset Tower, perché gli trovi il modo di stravolgere le leggi di Dio.


17 Gennaio 2516,
Greenfield.

Seduto sul bordo di una branda, nell’infermeria dell’accampamento sotterraneo, Marshall si gira fra le dita il cortex pad e scorre con gli occhi per la quarta volta il dispaccio arrivato da Safeport. Mordendo il filtro di una sigaretta, si chiede come sarebbe andata se Martin avesse avuto già cucita dentro ai geni la bestemmia che desiderava; se, in qualche maniera, la mutazione che doveva allontanarlo dall’umanità sarebbe stata in grado di salvarlo. In tasca ha una fiala che brucia attraverso il tessuto, pesa come le fedi di Martin nel giorno del suo matrimonio. Pesa come l’inesistenza di Dio, come la concretezza della morte: non abbastanza perché un paio di pugni sferrati al muro non ne frantumino la densità, evaporandola in rabbia. 

La rivolta comincia a plasmare la carne prima di qualsiasi mutagene.



[Martin “Manolesta“ Greedy. 2479 - 2516]