venerdì, agosto 29

Love is a doing word.

29 Agosto 2516,
Safeport (Sunset Tower).
Esterno notte.


Dodò non fiata da quando si sono lasciati l’Hydra alle spalle.
A labbra chiuse si chiede come sarà Bullfinch, e come saranno e il fratello e la sorella di White Daddy, se la porteranno veramente a fare il bagno nel lago e le lasceranno leggere i libri a voce alta per Hope Red, e se la cugina bionda che si chiama Justice sarà carina con lei o se dovrà darle un pugno in faccia o morderle un orecchio.
Cammina dritta come un soldatino, con i timori stretti dentro al petto magro e nei pugni chiusi lungo i fianchi, precedendo di due passi Marshall e il bambinetto biondo che, con una mano aggrappata ai suoi jens, un po’ tiene il passo e un po’ si lascia trascinare.
Fa un sacco di domande, Hope.

"Perché ci mandi via? Dobbiamo starci tanto tempo? Tu perché non vieni? Vai in prigione di nuovo? Ti porti anche mamma? Perché mamma ha fatto così quando le ho detto ciao?"

Marshall non abbassa lo sguardo, solcando le balaustre e i ponteggi dello spazioporto mentre distribuisce occhiate, come raffiche di mauler, allo sciame di uomini e donne armati che brulicano su e giù rendendo la torre un enorme termitaio.
L’hound di Moloko corre avanti, resta indietro, ma anche senza guinzaglio e senza disciplina non perde mai il passo, e bracca i bambini come un lupo a caccia di daini.

"Così come."

Hope si stringe nelle spalle senza rispondere, incespicando per stare dietro alle falcate brusche di suo padre con aria confusa, fiutando tensioni a cui non sa dare un nome.

"… E tu perché fai così?"

Marshall lo zittisce piazzandogli una manata in testa e se lo scrolla di dosso, inchiodando al cospetto dell’enorme ventre metallico di una nave che non è l’Almost Home: il Leprechaun, classe brigade, aspetta i suoi passeggeri a motori caldi.
L’uomo che si fa incontro a Lee per battergli una pacca sulla spalla e una testata sulla fronte è Paddy Jackson, un browncoat di Tauron che ha ancora qualche ciuffo di capelli fulvi dove l’esplosione di una granata su Spartaca non gli ha ustionato la cute.

"Non ci devi stare troppo dietro. – gli spiega il medico di Bullfinch che gli ha salvato un occhio e quasi tutto l’orecchio sinistro; – Basta che gli dai uno sguardo durante il viaggio e me li scarichi a Timisoara, mio fratello se li viene a prendere."

Né a Hope, né a Dodò la faccia bruciata di Paddy fa paura. Sono cresciuti in mezzo ai reduci, alle bande di Maracay, sotto il cielo ardente di Sunset Tower. Sono Marshall e Moloko a dire loro quali mostri sono mostri, e quali invece sono amici.
Dodò sta già sgambettando dietro a Mezza-faccia Jackson quando Marshall la richiama con un fischio, le dà una pacca sulla spalla che la fa traballare e un buffetto non tanto più tenero sulla guancia.

"Stai attenta a tuo fratello. – le dice, – … E stai attenta pure a te stessa, ricordati che nessuno c’ha il diritto di dirti quanto vali, perché sei figlia di tua madre e sei pure figlia mia."

Hope, quando il padre lo strattona per un braccio, si scuote e si ritrae con una smorfia riottosa.

"Non ci voglio andare a Bullfinch, pa’."

"Perché no?"

Hope non sa rispondere, solleva una mano per strofinarsi una guancia e scrolla la testa bionda con la rabbia scritta in faccia come un temporale.

"Hey, kiddo."

Marshall si piega sui calcagni e gli prende le spalle fra le mani enormi, tenendogli alto il muso con la pressione di un pollice.

"L’hai visto quel segno che ha tua madre in faccia, right? – piega la testa verso il basso, specchiando lo sguardo nelle pozze umide e confuse degli occhi del bambino; – … Il taglio gliel’ho ricucito io mentre il mondo ci cadeva a pezzi tutto intorno. Il suo viso e quello del mio pianeta hanno la stessa cicatrice, e sono bellissimi tutti e due."

Lo stesso pollice glielo sfila da sotto il mento per lisciargli l’attaccatura del naso, spianando il cipiglio contratto fra le sopracciglia chiare.

"Quando ci arrivi lo vedrai." – gli dice, spingendolo via.

Se ne rimane accosciato sul pontile a guardarli, una bambina nera e un bambino biondo che spariscono ingoiati dal metallo.