domenica, dicembre 7

VI. Shombay Cortès

6 Dicembre 2516,
Safeport (Sunset Tower).
Interno giorno.


"Devi accoglierlo come un ospite sacro, lo porti in un bordello, gli offri da bere e poi vi scopate una puttana. È obbligatorio, la mattina seguente ti svegli, vai nella sua camera e gli chiedi il permesso di sposarmi."

"Aspetta … Aspetta. Ci dobbiamo scopare la stessa puttana?"

"Sì, è un simbolo di comunione. Solo che non devi per forza assistere, in teoria … Dovresti."

"Per Dio, stai scherzando."

"Ma che vuoi da me? Che cazzo vuoi da me … È una tradizione di famiglia. Lo vuoi fare con Sergio?"

"No cazzo, non lo voglio fare e basta. Christ."

"Le cose sono due, o lo fai o non ci sposiamo perché mio padre non viene al tuo … Al mio-- al nostro … Matrimonio. Hai capito?"

"Devo vomitare."

"Aspetta che si scopi la puttana fuori la porta e poi vai tu. Santo cielo, è una femmina … E tu cazzo quante puttane ti sei scopato mentre stavi con me? Non lo voglio sapere. Ma lo sai fare benissimo."


[…]

Marshall si sveglia con la testa sottosopra come la stiva di una Firefly durante un Ivan the Mad, immerso in un pantano di alcol e blast.
In qualche angolo impreciso del cervello si sente sporco, vorrebbe lavarsi la pelle fino a strapparsela di dosso. Stropiccia le palpebre col palmo delle mani e torce il collo per adocchiare la ragazza nuda che si torce mollemente fra le lenzuola sfatte.
Si tira in piedi barcollando, scavalcando il bordo del letto impregnato di sesso con una mano aperta contro le suture cucite intorno al cuore, sepolte sotto strati di bende e fastidiosamente infiammate dagli eccessi della nottata.
Trascina cinque dita spesse fra i capelli e ricaccia indietro un conato di nausea, tastando le narici arrossate con le nocche rotte mentre un brivido gli si arrampica lungo la schiena larga.
Trova i jeans a tentoni e li infila incespicando verso la porta, calpestando a piedi nudi le assi di legno incrostate di liquore. La luce fioca e violacea del mattino di Sunset Tower filtra tra gli scuri accostati delle finestre e gli ferisce le pupille dilatate mentre scavalca il breve tratto di corridoio che conduce alla stanza di fronte.
La risposta all’impatto delle nocche sul legno è un grugnito impastato.
Oltre il vano della porta, Shombay Cortès è una massa enorme di carne nera abbandonata ai piedi di un letto sfondato, la camicia a righe grigie e verdi sbottonata sul ventre prominente e una bottiglia di rum appoggiata in mezzo alle gambe. Siede sul pavimento sporco come un re primitivo sul suo trono di pietra e ossa.

"Lee." – la sua voce bassa sembra sgorgare dalle profondità della terra.

C’è un odore di bloom nauseante, Shombay ha una sigaretta incastrata distrattamente fra le dita tozze da picchiatore.
Marshall vacilla sull’uscio, travolto da un nuovo conato respinto a fatica. Raspa un bolo di saliva e lo sputa per terra, impastando come fango i capelli incollati di sudore.

"Cazzo, facciamola corta."

Il padre adottivo di Moloko ne accoglie la supplica snervata con aria impassibile. Non gli ha mai sorriso, da che ha messo piede su Safeport, nemmeno quand’era troppo ubriaco e troppo fatto per reggersi in piedi.

"Porta rispetto, mezzasega bianca, che non ti ho messo le mani addosso solo perché tieni due buchi in corpo."

Lee sfrega la lingua contro il versante interno della cicatrice ricurva che gli percorre la guancia sinistra, sfiatando un grumo di pazienza attraverso il naso adunco e addentrandosi nella camera con i nervi strozzati a fatica nel guinzaglio della necessità.

"Alright, mister Còrtes. – appende le dita dietro la nuca indolenzita, deglutendo un mattone di disagio e sbattendo lo sguardo fra le pareti della stanza come il volo di un calabrone rinchiuso sotto un bicchiere di vetro; – I’m here to ask your daughter’s hand in marriage."

"No."

Gli occhi chiari e arrossati di Marshall schizzano sulla faccia di Shombay come le schegge di una granata. Trascina le sopracciglia all’attaccatura del naso, rivoltando sul muso ispido una smorfia d’incomprensione interdetta.

"Come no."

Cortès è ancora seduto sul pavimento, placido come un bue dentro una pozza di fango. Solleva la bottiglia e manda giù il fumo dolciastro della bloom con un sorso di liquore.

"Tu estas empezando la casa por el tejado, ti pensi che sei venuto qua ed è tutto fatto."

Basta il dialetto di Maracay a trasformare la nausea di Lee in un nodo bollente d’insofferenza. Torna a spazzare la stanza con lo sguardo e cerca la metà cucita del torace con la mano aperta, premendo sulle bende e spingendo attraverso il naso una manciata di respiri potenti.

"Jeez, we fucked the fucking whore." – ringhia, rimpiangendo di avere lasciato il revolver sul letto.

Shombay ingoia un’altra boccata di rum. Deve aver ricominciato a bere e a fumare appena sveglio, ma sembra solidamente lucido; valuta il ’Buller dal basso con indolenza analitica.

"Perché la mia unica figlia la dovrei dare a te."

Marshall rivolta il labbro superiore in un fremito nervoso, ma con gli angoli della bocca stirati verso l’alto da una contrazione svelta. Dedica un’ultima occhiata alla stanza e copre l’ultimo paio di passi per piegarsi lentamente, barcollando, a sedere sui calcagni di fronte al proprio interlocutore.
Gli ficca lo sguardo negli occhi con un lampo di prepotenza.

"Perché me la sono già presa. L’ho conquistata palmo a palmo in mezzo al fango e ai proiettili, sotto le bombe, e adesso è mia. – contrae le narici come un animale per ingoiarsi l’odore di bloom, di alcol, di sudore stantio, trascinando i vertici di un ghigno brutale all’ombra degli zigomi aguzzi; – … Ho vinto io questa guerra, vecchio."

Nell’arroganza minacciosa e territoriale con cui si protende verso di lui non si agita nessun disprezzo. Gli si rivolge con l’esprressione che nel ’Rim si usa per identificare il padre proprio o di qualcun altro, un uomo che ha vissuto più a lungo e visto più cose di te, e che ha preso la vita a calci in culo fino a conquistarsi il lusso di arrivare abbastanza in là con gli anni da sentirsi chiamare 'vecchio'.
Un titolo che è quasi una medaglia.
Shombay sostiene il suo sguardo con una malinconia improvvisa, abbandonando la bottiglia di rum sul pavimento per arpionargli la nuca con una mano enorme e baciargli le guance con affetto rituale.

"Sei un bravo ragazzo."

Tornando allo spazioporto con le mani in tasca, barcollando fra le strade sporche di Sunset Tower, Lee si ferma a svuotare lo stomaco degli ultimi grumi di tensione.





But my hand was made strong
by the ’and of the Almighty.
We forward in this generation
triumphantly.

Won’t you help to sing
these songs of freedom?
’Cause all I ever have,
redemption songs.