giovedì, luglio 24

You don’t judge the ones you love.

24 Luglio 2516,
Safeport (Almost Home).
Interno giorno.


L’odore di Moloko gli si è fuso nel cervello come un blocco di cemento pesante, le dita delle sue mani fervide hanno sciolto tutti i nodi dei capelli brunastri e mal tagliati, asciugati sul cuscino e contro la sua pelle.
Marshall riemerge dal sonno che è solo, impastato fra le lenzuola della branda e nel pantano di un colossale doposbronza. In testa gli ronza l’eco della voce di Cortes, un mantra di cui non riesce a ricostruire il senso fra i brandelli di coscienza pesante affiorata nei sogni allucinati della nottata.
Trascina un braccio davanti agli occhi, strofinando il muso ispido contro l’incavo del gomito prima di cucire lo sguardo sulle tacche nere allineate lungo l’interno dell’avambraccio. Tira su dal naso adunco e strizza le palpebre, sollevandosi sui gomiti per rovesciare un’occhiata sul torace nudo, aspro di muscoli e arrossato lungo le linee d’inchiostro scavate sotto il cuore da una mano ferma.

"Hope Red." – legge, ghignando confuso, con un gorgoglio di voce arrochita.

Gli fanno male gli occhi quando li rivolta contro la porta della cabina, intercettando con uno spasmo di muscoli intorpiditi la cascata di trecce nere e gli occhi da lince di Dodò, un lampo nero che gli invade il letto per sbattergli le labbra a schiocco sulle guance e sul naso, e una tazza di caffé nero ancora tiepido contro lo sterno coperto soltanto dalle piastrine militari.
La bambina si raggomitola sulla coperta, appoggiandogli di prepotenza il braccio su una spalla e sporgendo il muso bruno sul foglio firmato dalla maestra che gli sbatte sotto agli occhi. Legge la comunicazione al suo posto, con la pazienza e il piglio serio di un adulto, perché sa riconoscere al volo i postumi di una sbronza, e poi gli bisbiglia piano dentro un orecchio, con la bocca tratteggiata da un sorriso incerto.

"Domani è la giornata dei papà, e io il papà noncelotengo, puoi venirci tu? Non so a chi altro chiedere …"

Marshall affoga il residuo rancido che gli raschia la gola nel primo sorso di caffé, spingendo cinque dita spesse fra i capelli lisciati da Moloko per tutta la notte.

"Jeez … Còrtes non va bene?"

Dodò scuote le treccine con l’aria rassegnata di chi ci ha già provato.

"Nà, è la giornata dei papà. La mamma non vale."



25 Luglio 2516,
Safeport (Jackmark).
Esterno giorno.


La scuola elementare di Jackmark è un edificio fatiscente che cade a pezzi. Lo stanzone in cui si svolge la ‘giornata dei papà‘ è affacciato su un cortile di cemento sporco nel quale torme di ragazzini corrono e strillano inseguendo una lattina ammaccata.
Marshall fuma seduto sul davanzale della finestra aperta, sbirciando ora il cielo chimico di Safeport, ora le facce degli uomini sparpagliati nella stanza: lo fissano tutti, a sprazzi d’interesse alterni, perché è bianco e ha gli occhi azzurri ed è venuto ad accompagnare una bimbetta nera come il carbone delle miniere di Nedmore Town.
I padri si scambiano chiacchiere spente, sono quattro gatti. Nelle scuole di Sunset Tower sono pochi gli studenti che hanno un padre abbastanza sobrio ed abbastanza interessato da tirarsi in piedi una mattina all’anno per accompagnarli a scuola. Alcuni hanno infilati alla cintura revolver più grossi della testa dei loro figli.

"… White Daddy, lui è Jonas."

Dodò sgattaiola sotto la finestra bassa, dal lato del cortile; ha uno zigomo gonfio e un ginocchio sbucciato sotto i jeans tagliati a mezza coscia, strattona per un braccio un moccioso biondo e slavaticcio che avrà più o meno la sua stessa età e non spiccica mezza parola, scaricando in faccia a Marshall un’occhiata densa di soggezione e tirando su dal naso il filo di sangue grondato giù dalla narice sinistra.

"Jonas dice che non sei mio papà e che abbiamo barato. – la bambina parla in fretta e scrolla il braccio del compagno, che deglutisce e stropiccia una smorfia scontrosa. – Allora ci siamo picchiati per la su- pre- mazia."

Il sorriso bianco di Dodò scintilla sulla sua faccia scura come un ghigno da furetto allegro.
Jonas si libera con uno strattone della spalla.

"Il mio papà ti spara in testa, brutta negra, e questo qua non è tuo padre. – si fa spavaldo, addita l’uomo appollaiato sul davanzale con il mento magro. – Non vi prendete manco un po’."

Marshall rivolta la cicca fra le dita, valutando la scena dall’alto con uno spesso strato di fastidio annoiato a rendergli un’aria da cane rognoso. Sfoga la frustrazione nella torsione di muscoli agile, leggera, con cui le gambe scavalcano la finestra per sbattere la suola degli scarponi sull’asfalto rotto del cortile.
Torreggia sui due bambini che si spintonano, butta via il mozzicone ed allunga una mano enorme sopra la testa di Dodò per spingerla da parte, senza grazia, prima che possa tirare al bambino un altro pugno: Jonas forse l’avrebbe preferito, un altro pugno, perché la negra si scosta con una piroetta e si appende alla gamba dell’uomo che, fissando lui dall’alto, curva le spalle larghe e tira su dal naso adunco come per strappargli via di dosso la pelle assieme all’odore che la ricopre.

"C’hai ragione, kiddo. – l’accento cantilenante dell’uomo non è del posto; Jonas l’ha sentito strascicare in bocca, qualche volta, a qualche amico di suo padre. – Mia figlia è negra e io sono bianco, ma indovina un po’ …"

Il ghigno che torce gli angoli della bocca di Marshall Lee spinge giù per la spina dorsale di Jonas un brivido e la sensazione netta, schiacciante, che l’uomo lo prenderà a schiaffi se prova sul serio a indovinare prima che abbia finito di parlargli.

"… Tuo padre è uno stronzo, quindi vedi un po’ tu che devi fare per non assomigliargli troppo."

Sulla pelle di Jonas arriva solo una pacca ruvida, pesante come un ceffone, che scava sulla faccia di Dodò una smorfia di delusione vispa mentre l’uomo si raddrizza, si stiracchia, allunga una mano sola per permettere alla bambina di avvinghiarsi attorno al suo braccio.
La solleva di peso e se la carica in spalla.

"Andiamoci a scommettere qualche dollaro sui galli giù al Caravan …"

Le dice.

"… Mi sembra una stronzata questa giornata dei papà."