1 Aprile 2516,
Bullfinch (Amarillo).
Bullfinch (Amarillo).
Interno giorno.
"Non ci posso ancora credere che hai fatto questa cosa senza di noi."
Justice se ne sta con le spalle premute sul bordo del tavolo in salotto, le braccia intrecciate davanti al petto e due occhi da mastino sguinzagliati verso l’alto. Marshall non riesce quasi a credere che sia la stessa bambina che ha baciato in testa l’ultima volta, prima di lasciare Bullfinch e scoprire che nove mesi passano in un battito di ciglia. Arriccia sul muso ispido un ghigno crudo e disorientato, trascinando dallo stomaco alle labbra la sensazione di avere perso irrimediabilmente qualcosa.
"Mi dispiace, Jay-Lee, non potevo correre qui ogni volta che avrei voluto, ah? – gli occhi di Marshall scivolano di là dal tavolo, in cerca di una via di fuga, ma trovano solo il sorriso sfottente di suo fratello Mitchell a fare capolino dall’incrocio di braccia spalmate sul legno. – … Sono stato occupato."
Il minuscolo Generale Lee scrolla la testa bionda (quand’è che i capelli le sono arrivati alle spalle?) e spinge in faccia allo zio il singhiozzo scettico di un sopracciglio.
"I think you’ve been just dee-iu-em-bee."
Marshall tira indietro la nuca di scatto, come se una mano invisibile lo avesse preso e schiaffeggiato a tradimento, e spinge un grumo d’aria secco su per le narici contratte nella smorfia d’incomprensione feroce che gli ha arpionato la faccia.
"Me, dumb? Fuck. – gli occhi slavati spazzano il salotto, falciando la ghigna serafica di Mitchell e i denti di Nina, puntellata col gomito sulla spalla del maggiore dei Lee, che schiacciano il labbro inferiore fino a sbiancarlo. – … Why the hell is she talkin’ like this, anyway."
È sua sorella a venirgli in aiuto, impietosita dal raspare smarrito delle cinque dita spesse con cui lo guarda rivoltarsi sulla testa i capelli bruni e disordinati.
"Spelling. Sta imparando a scrivere. – rivela, raddrizzata la schiena per stringersi nelle spalle, già incamminata verso la porta con una virgola di sorriso stretta in bocca; – Tocca a me fare legna."
Mitchell, ancora spalmato sul tavolo come un gatto sornione, dondola la testa di lato e schianta in faccia al fratello minore un lampo comprensivo degli occhi ridenti. Marshall scrolla le spalle, tornando ad inghiottirsi il verdazzurro limpido e gravoso dello sguardo di sua nipote.
"Whatevs, kiddo. Lo vuoi vedere o no questo bambino."
Hope è rivoltato al centro letto di Nina, al piano di sopra, e quattro mesi di vita gli hanno asciugato le chiazze di petrolio degli occhi per rivelarne la trasparenza inconfondibile dei Lee; la testa tonda è un tappeto d’erba biondissima, le gengive nude impegnate a succhiare ogni lembo di pelle fradicia delle dita piccole come fiammiferi. Justice gli si avvicina con cautela riluttante, a naso sporto in avanti e mani intrecciate dietro la schiena, le spalle minute irrigidite come durante un’ispezione militare. Succhia l’interno di una guancia, affiancando il letto per valutare il cugino a testa reclinata sopra una spalla, poi verso l’altra.
"Ew." – l'esame si conclude con un versetto disgustato e un’arricciata di narici che squagliano una risata mal contenuta nel torace dei due fratelli rimasti a spintonarsi, come bambini troppo cresciuti, nella cornice della porta.
Justice guarda Hope, poi guarda Mitchell e Marshall.
"He’s snotty, and he’s ugly. – sentenzia, puntigliosa, recuperando il neonato con la coda dell'occhio e una scrollata di spalle. – … Not so bad, tho’."
Dondola il peso fra una gambetta e l’altra, scioglie il nodo delle dita dietro la schiena ed apre le braccia come un torero sotto la pioggia di fiori e baci del pubblico alla fine della corrida.
"Hope and Justice … – accartoccia un sorriso vispo dentro la guancia sinistra, –
"Non ci posso ancora credere che hai fatto questa cosa senza di noi."
Justice se ne sta con le spalle premute sul bordo del tavolo in salotto, le braccia intrecciate davanti al petto e due occhi da mastino sguinzagliati verso l’alto. Marshall non riesce quasi a credere che sia la stessa bambina che ha baciato in testa l’ultima volta, prima di lasciare Bullfinch e scoprire che nove mesi passano in un battito di ciglia. Arriccia sul muso ispido un ghigno crudo e disorientato, trascinando dallo stomaco alle labbra la sensazione di avere perso irrimediabilmente qualcosa.
"Mi dispiace, Jay-Lee, non potevo correre qui ogni volta che avrei voluto, ah? – gli occhi di Marshall scivolano di là dal tavolo, in cerca di una via di fuga, ma trovano solo il sorriso sfottente di suo fratello Mitchell a fare capolino dall’incrocio di braccia spalmate sul legno. – … Sono stato occupato."
Il minuscolo Generale Lee scrolla la testa bionda (quand’è che i capelli le sono arrivati alle spalle?) e spinge in faccia allo zio il singhiozzo scettico di un sopracciglio.
"I think you’ve been just dee-iu-em-bee."
Marshall tira indietro la nuca di scatto, come se una mano invisibile lo avesse preso e schiaffeggiato a tradimento, e spinge un grumo d’aria secco su per le narici contratte nella smorfia d’incomprensione feroce che gli ha arpionato la faccia.
"Me, dumb? Fuck. – gli occhi slavati spazzano il salotto, falciando la ghigna serafica di Mitchell e i denti di Nina, puntellata col gomito sulla spalla del maggiore dei Lee, che schiacciano il labbro inferiore fino a sbiancarlo. – … Why the hell is she talkin’ like this, anyway."
È sua sorella a venirgli in aiuto, impietosita dal raspare smarrito delle cinque dita spesse con cui lo guarda rivoltarsi sulla testa i capelli bruni e disordinati.
"Spelling. Sta imparando a scrivere. – rivela, raddrizzata la schiena per stringersi nelle spalle, già incamminata verso la porta con una virgola di sorriso stretta in bocca; – Tocca a me fare legna."
Mitchell, ancora spalmato sul tavolo come un gatto sornione, dondola la testa di lato e schianta in faccia al fratello minore un lampo comprensivo degli occhi ridenti. Marshall scrolla le spalle, tornando ad inghiottirsi il verdazzurro limpido e gravoso dello sguardo di sua nipote.
"Whatevs, kiddo. Lo vuoi vedere o no questo bambino."
Hope è rivoltato al centro letto di Nina, al piano di sopra, e quattro mesi di vita gli hanno asciugato le chiazze di petrolio degli occhi per rivelarne la trasparenza inconfondibile dei Lee; la testa tonda è un tappeto d’erba biondissima, le gengive nude impegnate a succhiare ogni lembo di pelle fradicia delle dita piccole come fiammiferi. Justice gli si avvicina con cautela riluttante, a naso sporto in avanti e mani intrecciate dietro la schiena, le spalle minute irrigidite come durante un’ispezione militare. Succhia l’interno di una guancia, affiancando il letto per valutare il cugino a testa reclinata sopra una spalla, poi verso l’altra.
"Ew." – l'esame si conclude con un versetto disgustato e un’arricciata di narici che squagliano una risata mal contenuta nel torace dei due fratelli rimasti a spintonarsi, come bambini troppo cresciuti, nella cornice della porta.
Justice guarda Hope, poi guarda Mitchell e Marshall.
"He’s snotty, and he’s ugly. – sentenzia, puntigliosa, recuperando il neonato con la coda dell'occhio e una scrollata di spalle. – … Not so bad, tho’."
Dondola il peso fra una gambetta e l’altra, scioglie il nodo delle dita dietro la schiena ed apre le braccia come un torero sotto la pioggia di fiori e baci del pubblico alla fine della corrida.
"Hope and Justice … – accartoccia un sorriso vispo dentro la guancia sinistra, –
Sounds like a dream team, huh?"